Appena saputo del ritiro di Nibali, ho subito pensato che avrei dovuto scrivergli un tributo. Non perché sia uno dei miei corridori preferiti, anzi negli ultimi anni non sono proprio riuscito ad apprezzarlo per via di svariate dichiarazioni che ha fatto, quanto per il ruolo che ha recitato nel decennio da poco concluso. Nibali, insieme a Philippe Gilbert, è stato incarnazione di estro, fantasia e anarchia nell’epoca più robotizzata della storia del ciclismo.
Inizialmente pensavo di fare un banale “le dieci vittorie più belle della carriera di Vincenzo Nibali”. Però ci volevo infilare dentro la battaglia con Ezequiel Mosquera sul suggestivo arrivo di Bola del Mundo, ove il successo è arrivato solamente postumo. Allora ho ipotizzato di tratteggiare una top-10 dei migliori momenti della carriera di Nibali. Tuttavia, la Bola del Mundo la volevo pure mettere al primo posto, ma mi rendevo conto che sarebbe stata una scelta totalmente soggettiva. Da un punto di vista oggettivo, infatti, la prima piazza di una graduatoria dei momenti iconici dell’epopea dello Squalo dovrebbero giocarsela la Milano-Sanremo, l’Hautacam e forse le Tre Cime.
Peraltro, riflettendoci, mi sono detto che, comunque, delle vittorie di cui sopra si è già scritto tutto e anche di più. Non aggiungerei nulla, facessi una graduatoria sarebbe un freddo esercizio di stile. E, allora, perché non raccontare la prima grande vittoria di Nibali, ormai particolarmente lontana nel tempo, alla quale, peraltro, non siamo stati poi in troppi ad assistervi in diretta. All’epoca, infatti, la Vuelta già non veniva più trasmessa dalla Rai, Eurosport non era visibile su infinite piattaforme come accade oggi e TVE International, che fino all’anno prima sfamava gli abbonati di Sky che non avevano il pacchetto sport, smise di diffonderla.
Scrivere della Vuelta 2010, peraltro, è un buon modo per parlare del primo Nibali, quello che i ragazzi della generazione Z con cui ho la fortuna, da un po’ di tempo a questo, di poter discutere di ciclismo, magari non conoscono. Non ancora il semidio portato in palmo di mano da qualsiasi media dell’ambiente, ma un ragazzo che interpretava il ciclismo in modo coraggioso, spesso prendendo musate qua e là, il quale veniva sovente criticato poiché non si lasciava imbrigliare in quei dogmi che, nello scorso decennio, hanno incancrenito lo sport delle due ruote. Prima di Evenepoel e van der Poel, anche Vincenzo ha “corso male“.
Ma dopo tutto questo preambolo veniamo alla Vuelta 2010. Da dove partire? Partirei da un caldissimo giorno di inizio agosto, quando colui che vi scrive, al tempo prossimo ai sedici anni, comprò un volume di Bicisport all’edicola che si trova all’ingresso della spiaggia di Duna Verde. Chiaramente c’era il focus sul Tour, Contador aveva appena battuto Schleck beffato dal noto salto di catena, ma vi era anche ampio spazio per la Vuelta, dato che, tra i grandi favoriti della vigilia, c’era proprio un Vincenzo Nibali che stava iniziando a farsi largo tra i principali uomini da corse a tappe del tempo.
In inverno il programma di Nibali prevedeva Tour e Vuelta. La Liquigas aveva deciso di puntare su Basso e Pellizotti al Giro, su Nibali e Kreuziger in Spagna e di presentarsi con tutti e quattro alla Grande Boucle. Poi emersero le problematiche di Pellizotti col passaporto biologico e cambiarono i piani. Nibali andò al Giro, alternò splendidi alti su Mortirolo e Monte Grappa, ad un paio di bassi su Zoncolan e Tonale, e riuscì a portare a casa un eccellente terzo posto resistendo al ritorno di Michele Scarponi per appena tredici secondi.
Nel numero di Bicisport di cui sopra, erano presenti le altimetrie di tutte le tappe della Vuelta. Passai buona parte della mia giornata in spiaggia a studiarmele e constatai come il tracciato fosse più duro del solito. Sul finire degli anni ’00, infatti, gli organizzatori, per facilitare il lavoro all’idolo di casa Alejandro Valverde, erano soliti tratteggiare delle gare totalmente prive di tappe insidiose nella terza settimana. Le Vuelte del 2007, del 2008 e del 2009, mi sia concesso dirlo, sono state delle gran ciofeche.
Si partiva con una prima settimana ricca di insidie. Le tappe di Malaga e Valdepeñas de Jaén proponevano due arrivi su salite brevi, ma capaci di creare distacchi. Poi c’era lo Xorret de Catì, una fase centrale ricca di traguardi in quota, una cronometro di 46 chilometri e il gran finale su quest’inedita Bola del Mundo, più di 20 chilometri di ascesa di cui gli ultimi con pendenze da capogiro su strada in cemento. Per quanto riguarda la startlist, Bicisport proponeva un’infografica in cui erano presenti anche Samuel Sanchez, Alberto Contador e Denis Menchov.
I primi due non saranno della partita, ma il terzo, reduce dal podio al Tour de France, sì. A quel tempo Menchov, sulla carta, appariva come uno scoglio invalicabile per Vincenzo. Il russo aveva caratteristiche simili a quelle di Nibali, era anch’egli, infatti, un passista scalatore, ma era più esperto del siculo, aveva già vinto una Vuelta, nel 2007, ed era un freddo calcolatore che raramente sbagliava un colpo, al contrario del focoso fantasista di Messina, che sovente si gestiva male e ne pagava le conseguenze.
La Vuelta partì il 28 agosto con una breve cronosquadre tra le strade di Siviglia ove la Liquigas di Nibali colse un ottimo secondo posto. Due giorni dopo, a Malaga, però, Vincenzo serve immediatamente quella che, al tempo, era la specialità della casa. Sullo strappo finale, a 800 metri dall’arrivo, parte per primo. Philippe Gilbert, favorito di giornata, gli si fionda a ruota e, poi, lo svernicia. La Squalo, che si pianta, sarà, infine, quarto a 15″ dal vallone, a 12″ da Purito Rodriguez, che con altri 12″ di abbuono gliene guadagna 24 così pronti via, e a 2″ da Igor Anton.
Lo Squalo va decisamente meglio il giorno seguente, quando, sulle rampe dell’aspro arrivo di Valdepeñas de Jaén chiude al secondo posto alle spalle di uno scatenato Igor Anton. La notizia di giornata, però, è che Menchov ha perso 19″ dal basco. Il russo pare essere in calo dopo il Tour e sullo Xorret de Catì, salita che sembra incoronare Nibali, Anton e Rodriguez come i candidati al successo finale della Vuelta, va totalmente alla deriva. L’allora capitano della Rabobank perde oltre due minuti dai tre di cui sopra e il sogno di bissare il successo del 2007 termina là.
La prova convincente di Nibali a Valdepeñas de Jaén
L’8 settembre è la volta del primo arrivo su una salita lunga della Vuelta 2010, il quale è posto in vetta all’erta di Andorra Vallnord. Ad accendere la miccia è l’eroe romantico delle Vuelte di fine anni ’00: Ezequiel Mosquera. Scalatore puro galiziano che corre in una piccola squadra galiziana, dalla maglia stupenda (mi sia concesso scriverlo), la Xacobeo Galicia, la quale è guidata da colui che, nel 1986, aveva portato la Vuelta in Galizia: Alvaro Pino.
Mosquera aveva perso per strada un po’ di tempo nella prima settimana, ma un corridore reduce da tre top-5 consecutive nel grande giro spagnolo non può essere lasciato andare. Sia Nibali che Rodriguez gli si incollano a ruota, mentre Anton non risponde. La scelta giusta, però, la fa il basco. Purito, consumato dal ritmo di Mosquera, perde le ruote dei battistrada e va in crisi. Nibali riuscirà a opporre resistenza in modo un po’ più convincente, ma, a un certo punto, anch’egli è costretto a cedere.
La maglia arancione dell’Euskaltel-Euskadi di Igor Anton, sul finire della salita, torna a farsi vedere. Il basco è lanciatissimo, riprende tutti i corridori che lo precedevano e a poche centinaia di metri dal traguardo piomba su Mosquera e lo supera. Tappa e maglia. Nibali, in difficoltà, viene superato anche dal compianto Xavi Tondo, da un giovane Rigoberto Uran e da un esaltante Marzio Bruseghin, trentaseienne dalla grinta infinita. Lo Squalo, comunque, limita i danni, chiudendo a 23″ da Anton. Rodriguez, invece, perde addirittura 59″ dal futuro re dello Zoncolan.
Igor Anton si impone ad Andorra disarcionando Nibali, Rodriguez e Mosquera
Dopo il primo arrivo in salita, Anton veste la maglia rossa con 45″ di margine su Nibali secondo nella generale. Un distacco certamente non incolmabile, anche se il percorso, che prevede altri quattro arrivi in quota, più adatti ad Anton, e solamente una cronometro, non sembra favorire il siciliano. Ai piedi della Peña Cabarga, secondo arrivo in quota della Vuelta 2010, però, Anton cade e si frattura il gomito. Tra lo stupore generale, il basco è costretto a ritirarsi.
Di certo per Nibali quello fu un colpo di fortuna non indifferente, ma va detto che né prima né dopo quella Vuelta, Igor Anton è mai stato capace di giocarsi il successo di un grande giro. La giornata storta, per il basco, poteva tranquillamente essere dietro l’angolo. Del resto, il suo storico ci parla di un atleta che non è mai andato oltre l’ottavo posto nella graduatoria finale di una gara di tre settimane, per cui, per quanto in stato di grazia, non è certamente detto che avrebbe ripetuto la prestazione di Andorra.
A mille metri dalla vetta della Peña Cabarga, Nibali, maglia roja in pectore, rompe gli indugi e scatta. Lo Squalo parte con veemenza, ma, dopo un po’, si pianta e viene superato a doppia velocità da un redivivo Joaquim Rodriguez. Il catalano vince la frazione e rifila anche 20″ al messinese secondo. Alla fine Vincenzo conquista il simbolo del primato, ma con appena 4″ di margine sul corridore della Katusha.
La musata di Peña Cabarga
Il 2010 è l’anno in cui viene introdotta la maglia rossa alla Vuelta. Fino all’anno precedente c’era la pacchiana maglia oro, primo e goffo tentativo del grande giro spagnolo di smarcarsi da quel ruolo di sorella minore del Tour de France al quale era relegata ai tempi dell’ancestrale maglia amarillo. Per Nibali, Rodriguez e Mosquera, dunque, quella non è solamente l’occasione per vincere quel grande giro che, al tempo, mancava nel palmares di tutti e tre, ma pure per ritagliarsi uno spazio privilegiato nella storia della manifestazione spagnola.
Il giorno successivo alla scalata della Peña Cabarga, è la volta della salita più iconica della Vuelta: i Lagos de Covadonga. Sull’Alpe d’Huez di Spagna, però, Nibali si difende in maniera egregia. Mosquera è il migliore dei big, ma guadagna appena 11″ sullo Squalo che arriva al traguardo con Rodriguez e con l’autentica sorpresa di quella Vuelta, la meteora slovacca Peter Velits. La musica, tuttavia, cambia totalmente al terzo giorno di montagna consecutivo, quando gli atleti devono affrontare una frazione che prevede Puerto de San Lorenzo, Alto de la Cobertoria e l’inedito e purtroppo mai più riproposto Cotobello.
Nella tappa che rivela al pubblico Mikel Nieve e che vede il ritorno in auge di un fin lì opaco Frank Schleck, Joaquim Rodriguez parte all’ultimo chilometro con una rasoiata così violenta da incendiare la strada. In appena mille metri, Purito guadagna 37″ a Nibali e si prende la maglia roja. Ad ogni modo, alla vigilia della cronometro, la situazione resta favorevole al siciliano, il quale deve recuperare 33″ al catalano e ne ha, invece, venti di vantaggio su Mosquera.
Il Cotobello andrebbe riproposto
Rodriguez, nella prova contro il tempo, fa una prestazione ben oltre le peggiori previsioni. Il catalano crolla totalmente, arriva fuori dai primi cento, e perde oltre quattro minuti da Nibali. Lo Squalo, però, anche a causa di una foratura, riesce a guadagnare appena 19″ su Mosquera. Vincenzo, nuovamente maglia roja, dunque, non ha ancora la Vuelta in cassaforte, poiché, con la Bola del Mundo ancora da scalare, può gestire nei confronti del galiziano un tesoretto di neanche quaranta secondi.
Fortunatamente per lo Squalo, nel finale della frazione di Toledo il gruppo si spezza in più tronconi e riesce a guadagnare un’altra decina di secondi nei confronti di Mosquera. Normalmente parliamo di poca cosa, ma in una gara che si sarebbe decisa per una questione di dettagli, quei secondi lasciati per strada in una tappa di transizione dal corridore della Xacobeo Galicia potevano pesare come macigni.
L’imprevisto, ad ogni modo, non scoraggia Mosquera che sulla Bola del Mundo, a quattro chilometri dalla vetta, porta un attacco convinto, a cui nessuno, inizialmente, risponde. Nibali, con una bella progressione da seduto, tuttavia, in un secondo momento, si leva gli altri rivali di ruota e ritorna sul galiziano.
Appena i due entrano nel tratto in cemento, però, la strada si impenna, Mosquera accelera di nuovo e, questa volta, va via. Vincenzo, tuttavia, non è in crisi, ma memore della lezione di Andorra, ha deciso di gestire le energie e di evitare quel fuorigiri che gli sarebbe potuto costare la Vuelta. Il vantaggio di Mosquera arriva a raggiungere i venti secondi, ma, in seguito, inizia a calare.
In vetta alla Bola del Mundo c’è una fittissima nebbia. Lo scenario estivo ammirato fino al Cotobello, ha lasciato spazio a uno più autunnale. Anche la spiaggia di Duna Verde, del resto, è ormai pronta a farsi sostituire dalle aule di scuola. A 500 metri dell’arrivo, mentre la telecamera inquadra Mosquera, sullo sfondo si vede sbucare dalla bruma la maglia roja di Vincenzo Nibali. Un’istantanea destinata a rimanere nella storia della corsa spagnola. E’ fatta, ormai, lo Squalo ha vinto la Vuelta.
La Bola del Mundo
Nibali raggiunge Mosquera, per certificare il valore della sua prestazione, la migliore sulle salite di quella Vuelta e, poi, da gran signore, gli lascia la tappa. Negli anni Vincenzo ha vinto praticamente tutto e quel successo, raccolto soffrendo ed entusiasmando meno che in altri palcoscenici, è stato un po’ dimenticato dai più. La Vuelta 2010, però, rappresenta una tappa fondamentale nella carriera del messinese. In quei ventuno giorni Nibali è diventato grande, tra un errore e l’altro è cresciuto in modo esponenziale e il ragazzo coraggioso che “correva male” ha completato la sua metamorfosi nel campione che, poi, abbiamo ammirato nei dieci anni successivi.