La stagione delle corse a tappe è ormai prossima al tramonto. La CRO Race e la Ronde de l’Isard, infatti, chiudono ufficialmente il calendario europeo delle gare di una settimana. Il 2022 è stata un’annata ricca di grandi prestazioni in montagna, tra le quali spiccano, ovviamente, quelle di un Jonas Vingegaard capace di toccare picchi superiori perfino a quelli degli sloveni Pogacar e Roglic. Negli ultimi mesi, inoltre, è emerso un Remco Evenepoel che, dopo un periodo difficile, ha dimostrato di poter primeggiare anche sulle erte più impegnative. Di seguito, vi propongo la top-10 delle prestazioni in salita che più mi hanno colpito quest’anno.
10) Brandon McNulty – Col de Val Louron & Peyragudes (Tour de France)
McNulty è uno dei più grossi enigmi del ciclismo contemporaneo. Lo statunitense del Team Emirates è un corridore di indubbio talento, ma alterna momenti in cui illude un po’ tutti di essere prossimo al salto di qualità definitivo, ad altri in cui sembra uno spettro. In seguito a un grande inizio di stagione, che lo ha visto vincere tre gare tra il 26/01 e il 10/03, Brandon è completamente sparito dai radar fino al 20 di luglio. Opaco durante le prime due settimane del Tour de France, McNulty si è trovato, improvvisamente, investito dei gradi di luogotente di capitan Pogacar dopo il ritiro di Rafal Majka. Un ruolo troppo pesante per il Brandon visto fino a quel punto, ma non per quello ammirato durante la 17esima tappa, la Saint-Gaudens – Peyragudes. Nel corso della penultima erta di giornata, il Col de Val Louron, lo statunitense si è messo in testa a tirare e si è prodotto in un forcing impressionante, al quale hanno resistito solo i primi due della generale Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar. Successivamente, sull’ascesa finale, McNulty ha continuato a fare il passo, e a guadagnare sugli inseguitori, fino a 200 metri dall’arrivo, quando è partita la volata tra il danese e lo sloveno sopraccitati. Brandon, in quell’occasione, ha rifilato un distacco di 1’35” a Geraint Thomas, terzo classificato finale della Grande Boucle, e di quasi 3′ a David Gaudu, che il grande giro francese lo ha concluso al quarto posto. Ovviamente, lo statunitense, dopo quella prova monstre, non si è più visto per il resto della stagione.
9) Frederico Figueiredo – Miranda do Corvo (Volta a Portugal)
Quello di Figueiredo è un nome che a molti potrà dire poco, ma chi segue il microcosmo portoghese sa quanto si vada forte da quelle parti e che prestazioni ha nelle gambe l’alfiere della Glassdrive/Q8/Anicolor. Già devastante un mese prima sull’Alto de Montejunto al GP de Torres Vedras, corsa che rappresenta l’antipasto per eccellenza della Volta a Portugal, Figueiredo, sull’inedita ascesa di Miranda do Corvo, ha sfornato un numero di altissima classe. Frederico, ormai raro esemplare di grimpeur dallo stile en danseuse, a quattro chilometri dalla vetta dell’erta appena menzionata, mentre il suo capitano e leader della classifica generale Mauricio Moreira passava un momento difficile, è partito con una rasoiata secca, alla quale nessuno ha saputo rispondere. In appena 4000 metri, Figueiredo ha messo un gap di 37″ tra sé e il gruppetto dei primi inseguitori. Il lusitano, che in passato aveva faticato a traslare le sue performance dalle gare di avvicinamento alla Grandissima, ha così colto il suo primo successo di tappa nella manifestazione più importante della sua terra. In quell’occasione, inoltre, Figueiredo aveva pure conquistato la camisola amarela, ma ha dovuto, poi, restituirla a Moreira nella cronometro finale.
Il numero di Figueiredo a Miranda do Corvo
8) Jai Hindley – Fedaia (Giro d’Italia)
Tre chilometri sono bastati a Jai Hindley per vincere il Giro d’Italia. L’australiano, così come il suo rivale Carapaz, non si è praticamente mai realmente esposto per diciannove giorni e si è giocato tutte le sue cartucce sull’ultima, durissima, salita della Corsa Rosa. Al momento della verità, però, Hindley ha dimostrato di avere molta più benzina nel serbatoio rispetto all’ecuadoriano. In una frazione caratterizzata da ritmi eccessivamente blandi, che ha visto il gruppo affrontare San Pellegrino e Pordoi con il freno a mano tirato, l’esplosività del capitano della Bora ha fatto la differenza. Al momento della verità, infatti, Carapaz ha accennato uno scatto, ma si è presto riscoperto con le gambe di marmo. Hindley, al contrario, ha saputo prendere il volo e, in poche migliaia di metri, ha dato 49″ a Mikel Landa e addirittura 1’28” allo stesso Carapaz. Per quanto la scalata dell’australiano sia stata assolutamente notevole, ad ogni modo, non si può non notare come, in quell’occasione, il re del Giro d’Italia 2019 abbia realizzato una prestazione profondamente al di sotto rispetto a quelli che sono i suoi standard abituali.
7) Jay Vine – Pico Jano (Vuelta a España)
Il primo arrivo in salita della Vuelta è stato teatro di tre prestazioni assolutamente degne di nota, realizzate da Jay Vine, Remco Evenepoel ed Enric Mas. L’australiano ha attaccato mentre i big facevano melina, ma quando la situazione si è sbloccata dietro, ha continuato comunque a guadagnare su tutti, tolti, appunto, Evenepoel e Mas. Proprio Vine, alla fine, si prende la copertina, poiché ha vinto la tappa e perché ha dimostrato, una volta di più, di avere nelle gambe gli stessi wattaggi dei corridori che si giocano il successo finale nei grandi giri. I distacchi dati sul Pico Jano, del resto, parlano chiaro: Evenepoel e Mas hanno lasciato sul piatto relativamente poco, ma il terzo dei big, Juan Ayuso, è giunto alla meta a 55″ dall’alfiere dell’Alpecin, mentre il gruppo di Roglic si è preso addirittura 1’37”. Quella prestazione, che è simile a quella confezionata a Stavsro al Giro di Norvegia, è rimasta, tuttavia, un unicum nella Vuelta di Vine. L’alumnus della Zwift Cycling Academy ha realizzato altre belle scalate, come quella che lo ha portato a trionfare sul Colláu Fancuaya e quella che gli ha permesso di chiudere al quarto posto sull’infinita erta di Sierra Nevada, ma per fare il salto da cacciatore di tappe a uomo di alta classifica, deve riuscire a ripetere con costanza prove come quella del Pico Jano.
I numeri della prestazione di Jay Vine sul Pico Jano
6) Jonas Vingegaard e Primoz Roglic – Plateau de Solaison (Giro del Delfinato)
L’ultima tappa del Giro del Delfinato è stata un vero e proprio antipasto di ciò che aveva nelle corde Jonas Vingegaard in vista del Tour de France. Sulle rampe del Plateau de Solaison, il danese si è messo in testa a fare il ritmo per il compagno Primoz Roglic e, in un attimo, tutti gli altri uomini di classifica, escluso proprio lo sloveno, hanno dovuto alzare bandiera bianca. I due, poi, hanno proseguito insieme, con Roglic che, però, ha dato l’impressione di essere meno brillante rispetto al compagno. Tolto Ben O’Connor, anch’egli autore di una grande prova, tutti gli altri avversari dei due alfieri della Jumbo-Visma hanno subito un passivo superiore ai 50″ dalla coppia in questione. Vingegaard si è accontentato di prendersi il successo parziale sul Plateau de Solaison, lasciando la generale a Roglic, ma quel giorno si è realmente capito che la Jumbo-Visma, alla Grande Boucle, non poteva relegare Jonas al ruolo di spalla.
5) Remco Evenepoel – Stavsro (Giro di Norvegia)
A proposito di antipasti, il Giro di Norvegia, una delle gare più belle della stagione tra quelle non mainstream, ci ha regalato il primo Remco Evenepoel veramente performante su una salita lunga dai tempi del successo sul Picon Blanco alla Vuelta a Burgos 2020. Il preludio di quanto ammirato, quattro mesi dopo, sulle strade della Vuelta. Sull’ascesa di Stavsro, 12 chilometri all’8,2 % (con punte del 16,8%), l’attuale campione del Mondo ha iniziato a fare il forcing a circa 6000 metri dalla vetta, senza mai alzarsi sui pedali, e, uno dopo l’altro, tutti i suoi avversari hanno ceduto. Un’azione che ha ricordato quelle dei grandi passisti-scalatori del passato, come Bernard Hinault e Jacques Anquetil, atleti che, dal punto di vista fisico, assomigliano, e non poco, all’ex calciatore di Schepdaal. L’unico capace di non sprofondare, sul colosso norvegese, è stato Jay Vine, il quale ha tagliato il traguardo 27″ dopo Evenepoel. Lucas Plapp, terzo, ha chiuso a 1’05” da Remco, mentre Tobias Halland Johannessen, Laurens Huys, Cian Uijtdebroeks ed Esteban Chaves sono arrivati a poco più di 1’20”. Distacchi decisamente più ampi per tutti gli altri.
Lo show di Remco Evenepoel a Stavsro
4) Remco Evenepoel – Les Praeres (Vuelta a España)
L’ascesa di Les Praeres, 3,8 chilometri al 13% con diversi tratti in cui si supera il 15%, era considerata dai più, incluso chi vi scrive, come uno degli ostacoli principali tra Remco Evenepoel e il trionfo alla Vuelta. In passato, infatti, e soprattutto al Giro dei Paesi Baschi di quest’anno, il belga non si era trovato particolarmente a suo agio sulle pendenze estreme. La prestazione monstre sfornata alla Clasica de San Sebastian, che presenta erte simili, anche se leggermente meno dure, suggeriva che Remco potesse comunque cavarsela. Del resto, il belga si è presentato al grande giro spagnolo con un paio di chili in meno rispetto a quelli che aveva in primavera. Alla prova dei fatti, tuttavia, l’iridato non si è limitato a superare l’esame con un risicato 18 o con un buon 25, ma ha preso un favoloso 30 e lode. Juan Ayuso ha accesso la miccia già a inizio salita, Remco ne ha approfittato per balzargli a ruota e, pochi istanti dopo, ha preso il comando delle operazioni. Il ritmo del capitano della Quick Step si è rivelato devastante e gli sono bastati pochi metri per rimanere da solo. Né il sopraccitato Ayuso, né Primoz Roglic e nemmeno Enric Mas sono stati in grado di opporre un minimo di resistenza. Evenepoel ha regalato uno show strabiliante sulle rampe di una salita che sembra condurre letteralmente agli inferi. Ayuso, il migliore degli altri, grazie a un finale ragguardevole, ha chiuso a 34″, mentre Mas ha perso 44″, Carlos Rodriguez 46″ e Roglic 52″. Decisamente superiore al minuto il passivo di corridori come Simon Yates, che a Les Praeres aveva vinto nel 2018, Miguel Angel Lopez e Joao Almeida.
3) Tadej Pogacar – Carpegna (Tirreno-Adriatico)
Il numero roboante di Tadej Pogacar sul Carpegna, nella tappa regina della Tirreno-Adriatico, ci aveva fatto credere che, quest’anno, lo sloveno sarebbe stato ingiocabile per tutti, fatta eccezione, forse, per il connazionale Primoz Roglic. Nel prosieguo di stagione, però, sia Jonas Vingegaard che Remco Evenepoel, i quali erano presenti alla Corsa dei due Mari, ma evidentemente erano lontani dalla miglior condizione, al contrario dello sloveno, hanno toccato picchi paragonabili, e nel caso del danese addirittura superiori, a quelli Pogacar. Ciò non toglie, però, che in quel freddo giorno di inizio marzo, il fenomeno di Komenda abbia letteralmente spianato quella salita che, nel lontano 1973, fu teatro di una prova di forza indimenticabile del Cannibale Eddy Merckx. Tadej ha fatto il vuoto con semplicità imbarazzante su quelle strade in cui era solito allenarsi Marco Pantani e ha saputo dare continuità alla sua azione con una veemenza da toro brado. Nessuno, quel dì, è riuscito ad arrivare al traguardo con un passivo inferiore al minuto e questo dice un po’ tutto sull’esibizione che il capitano della UAE Team Emirates ci ha regalato.
Tadej Pogacar spiana il Carpegna
2) Jonas Vingegaard – Hautacam (Tour de France)
Jonas Vingegaard ha messo il sigillo definitivo sul suo Tour de France proprio su quella salita, l’Hautacam, che aveva incoronato il connazionale Bjarne Riis nell’ormai lontano 1996. Il danese, sulla vetta pirenaica in questione, per la verità, ha dovuto semplicemente spingere la palla in rete dopo che Wout Van Aert, col suo forcing, aveva messo in difficoltà Tadej Pogacar. Ad ogni modo, quando Jonas ha preso in mano la situazione, è apparso chiaro a tutti quanto il leader della Jumbo-Visma fosse superiore al resto della concorrenza. Pogacar, che in precedenza aveva provato a detronizzare la sua nemesi, ha accusato un distacco di 1’04”, Van Aert è arrivato terzo a 2’10”, mentre Geraint Thomas e David Gaudu hanno concluso la frazione a quasi tre minuti dalla maglia gialla. In epoca recente, nessuno ha saputo esprimersi, in salita, su livelli paragonabili a quelli del Vingegaard del Tour de France 2022. Nemmeno il Froome di Ax3 Domaines, Mont Ventoux e La Pierre-Saint-Martin era andato forte come il danese. Bisogna tornare ai tempi di Lance Armstrong, quantomeno, per trovare un corridore così straripante sulle ascese della corsa a tappe più importante della stagione.
Jonas Vingegaard mette la parola fine sul Tour de France
1) Jonas Vingegaard – Col du Granon (Tour de France)
Le scalate di Granon e Hautacam sono pressoché speculari e scegliere l’una piuttosto che l’altra, alla fine, è questione di gusti. Sicuramente, ad ogni modo, la prima è quella più iconica, dato che, sull’erta in questione, Vingegaard ha sfilato la maglia gialla a Pogacar. I distacchi che il danese ha dato ai rivali in quell’occasione, peraltro, non dicono nemmeno tutto sulla sua netta superiorità rispetto al resto della concorrenza dato che Quintana e Bardet, i corridori che gli sono arrivati più vicini, si erano avvantaggiati prima della sciabolata del danese. Gli atleti che gli erano a ruota, in appena 4,5 chilometri, hanno subito tutti quanti un passivo superiore al minuto e mezzo. Probabilmente nemmeno il miglior Pogacar, che quel dì ha pagato il conto per i molteplici attacchi portati sul Galibier, sarebbe stato capace di tenere testa a Vingegaard sul Granon. Inoltre, vedendo che gap è riuscito ad aprire Jonas in pochi chilometri, viene da chiedersi cosa sarebbe successo se fosse partito a inizio salita. Probabilmente avrebbe rifilato almeno due minuti ai primi inseguitori.