Nelle edizioni 2018 e 2019 del Giro d’Italia U23, gli atleti colombiani hanno monopolizzato le frazioni di montagna, vincendole tutte tranne una, e sono riusciti nell’impresa di unire le posizioni del podio sotto un’unica bandiera. A distanza di pochi anni, tuttavia, il ricordo di quegli exploit sembra sempre più lontano, sbiadito dalle difficoltà che la maggior parte di loro sta incontrando tra i professionisti.
Più di tutti è emblematico il caso del dominatore del Giro U23 del 2019, Andrés Camilo Ardila, tornato a misurarsi coi puri all’ultimo Tour de l’Avenir e uscitone con le ossa rotte dopo aver concluso al 18° posto ad oltre 27′ dal vincitore (e coetaneo) Tobias Halland Johannesen. Tuttavia, non è l’unico ad aver deluso, per il momento, le aspettative.
Anche chi, come Alejandro Osorio, se l’è cavata meglio, non ha ancora intrapreso quella parabola ascendente che, vedendolo all’opera nel 2018, ci si poteva aspettare e che, invece, hanno già quasi portato a termine corridori che non sembravano valerlo, vuoi per resa potenziale, come Alexander Vlasov, o per impressione destata, come Joao Almeida.
Andrés Camilo Ardila demolisce la concorrenza, sul Passo Maniva, al Giro d’Italia U23 2019
Se Cristian Munoz e Juan Diego Alba, dopo stagioni prive di acuti nel World Tour, sono già stati costretti al passo indietro alla ricerca di una propria dimensione, le notizie migliori sono arrivate da quei profili che non stuzzicavano la fantasia di chi segue il ciclismo giovanile al pari dei succitati: l’altro Munoz, Daniel, ed Einer Rubio, invece, si sono adattati bene al piano di sopra, ciascuno nei propri limiti e al livello consono al proprio valore.
Il primo ha trovato una delle migliori, storicamente parlando, sistemazioni possibili per un atleta con le sue caratteristiche e il suo background, l’Androni di Gianni Savio, mentre, il secondo, da junior in forza alla squadra della Fundacion Esteban Chaves, ha saputo far immediatamente tesoro delle stagioni da U23 passate in maglia Aran Cucine-Vejus, sodalizio sannitico grazie al quale ha potuto misurarsi costantemente coi migliori U23 italiani e talvolta europei, accorciando così il periodo di apprendistato tra i grandi.
Proprio grazie all’esempio di Rubio, si può mettere in luce il principale motivo strutturale che sta alla base delle problematiche che i suoi connazionali hanno vissuto o stanno vivendo, ferme restando le particolarità del caso, come i problemi al ginocchio che hanno accompagnato Ardila dalla vittoria del Giro U23 fino alla fine del 2020, la pressoché totale mancanza di esperienza in Europa.
Un anno prima di Ardila, era stato Alejandro Osorio, col suo padellone, a piegare tutti sul Maniva
Secondo la figura che sta dietro alla generazione che ha cambiato per sempre il ciclismo colombiano, Luis Fernando Saldarriaga, una delle chiavi per il successo è correre in Europa, al fine di preparare nella migliore maniera possibile i giovani ad affrontare situazioni di gara complesse e di completarne, così facendo, il processo di crescita come corridori a 360° gradi.
Il confronto tra il calendario della Colombia es Pasion di Saldarriaga e Ignacio Velez all’epoca delle campagne vincenti di Quintana e Chaves all’Avenir, fatto di esperienze formative in Portogallo, Spagna, Francia e Italia, e l’assoluta assenza di giorni di gara al di qua dell’oceano per tutti i protagonisti di quei Giri U23 prima di parteciparvi, fatta eccezione per Rubio, è impietoso e spiega molto di quello che stiamo vedendo.
Ciò riflette come nel corso degli anni il ciclismo colombiano si sia allontanato dalla strada maestra, tracciata nel solco della progettualità e della visione, finendo per realizzare un sistema autoreferenziale, schiavo delle ingerenze della politica e che sceglie di non guardare al lungo periodo per i propri prospetti migliori. Non è un caso che i migliori esponenti di quello che è il principale movimento sudamericano, tranne Miguel Angel Lopez, o siano ancora figli di quei dettami, da ultimo Higuita, o sono atleti che sono addirittura cresciuti sportivamente in Europa come Bernal e Sosa (per il futuro occhi puntati su Umba).
A dimostrare la bontà di questo modo di coltivare i talenti c’è il fil rouge che unisce tali nomi, fatto di periodi di adattamento che non sono mai andati oltre il fisiologico, a cui fa da contraltare la grande fatica a progredire da parte di quei corridori che tanto bene hanno fatto a livello giovanile degli ultimi anni, fermi mentre chi qualche anno fa ne poteva solo prendere la targa ora li sorpassa a doppia velocità.