Dal 2020 ad oggi la Settimana internazionale Coppi e Bartali è diventata una vetrina privilegiata per alcuni tra i prospetti più interessanti dell’intero panorama ciclistico e un banco di prova dall’elevatissima affidabilità prognostica sul loro futuro, come testimoniano i nomi di chi si è messo in luce sulle mai banali strade romagnole in questo lasso di tempo, da Kooij a Vingegaard, passando per Hayter, Almeida, Bagioli e Narvaez.
L’edizione appena conclusa non è venuta meno alla sua ormai acquisita fama e ha visto sugli scudi diversi giovani, su tutti l’inglese Ben Tulett, secondo nella generale dietro il compagno Dunbar e vincitore della tappa regina di San Marino, nonché pedina fondamentale nel successo di Hayter il giorno prima.
Originario del Kent, Tulett viene da una famiglia in cui le due ruote sono di casa: il padre Allister è stato un dilettante nelle gare del calendario nazionale britannico, mentre il fratello maggiore Daniel ha vinto la medaglia d’argento ai mondiali juniores di ciclocross nel 2017, dietro a Tom Pidcock e davanti a Ben Turner. Non stupisce pertanto che, come la leggenda vuole, Ben sia salito in sella a una bicicletta a due anni e non ne sia più sceso.
Già con le idee chiarissime sulle proprie aspirazioni, tanto da dichiarare a 14 anni che a 20 voleva essere forte quanto Wout van Aert, il suo punto di riferimento all’epoca, il piccolo di casa Tulett ha cominciato da allievo a passare buona parte della stagione, estiva e invernale, tra Belgio e Paesi Bassi, abituandosi rapidamente al modo di intendere il ciclismo tipico di quelle latitudini.
Nella sua annata d’esordio tra gli juniores nel ciclocross, ci ha messo pochissimo per cogliere la sua prima vittoria pesante, sull’iconico Koppenberg, a cui hanno fatto seguito il bronzo europeo di Tabor e altri due successi, sull’altrettanto prestigioso traguardo del Druivencross e a Sint-Niklaas.
Nonostante gli fosse sfuggita la terza maglia di campione britannico consecutiva dopo le due ottenute da U16, Tulett si è presentato al durissimo mondiale di Valkenburg come uno dei più pericolosi outsider per il successo finale: lì, a due giri dalla fine, ha abbandonato la compagnia del ceco Kopecky e si è involato verso la conquista dell’iride, secondo juniores nella storia della rassegna dopo Mathieu van der Poel a riuscirci al primo colpo.
Il successo di Ben Tulett ai Mondiali di Valkenburg di ciclocross del 2018
Anche su strada, con la maglia di una dei più importanti club giovanili neerlandesi, il Willebrord Wil Vooruit (da cui sono passati vincitori di grandi classiche come Terpstra o di tappe al Tour de France come Groenewegen e De Gendt), i risultati sono arrivati senza dover pagare alcun pegno al salto di categoria.
Tra i più importanti si segnalano il podio alla Ronde des Vallées e le vittorie del campionato nazionale in linea, della crono dell’Acht van Bladel e, soprattutto, della corsa a tappe juniores più importante del Regno Unito, il Tour of Wales, nel cui albo d’oro recente si può trovare tutta la crema del l’attuale movimento d’oltremanica.
Tuttavia, seppur coronato da un nuovo trionfo iridato nel cross, impresa riuscita sempre solo a Van der Poel, il suo secondo anno da juniores, in particolare su asfalto, non è stato all’altezza del primo. Perciò ha alzato più di qualche sopracciglio la scelta dell’Alpecin-Fenix, i cui colori vestiva già nel fuoristrada, di farlo passare direttamente professionista senza un preventivo collaudo tra gli U23, apparentemente necessario dopo il leggero calo del 2019.
Quella che poteva sembrare una mossa azzardata da parte dei tecnici della formazione belga, evidentemente convinti dalla bontà di quanto fatto vedere qualche tempo prima e, sicuramente, da test fisici di primo livello, si è rivelata invece subito felice: al Tour of Antalya, suo battesimo tra i prof, Tulett giunge al 5° posto sull’arrivo in salita di Termessos e nella generale finale.
Nella Liegi-Bastogne-Liegi in versione autunnale causa pandemia, inoltre, si toglie la soddisfazione, ad appena 19 anni e un mese, di essere uno dei più giovani di sempre a portarla a termine, per di più con un più che dignitoso 53° posto, tre giorni dopo una buona Freccia Vallone.
Lasciato definitivamente da parte il cross per concentrarsi sul suo obiettivo, diventare un ciclista in grado di lottare per la generale dei grandi giri, coerentemente al fisico da scalatore puro, il 2021 di Tulett lo consacra come uno dei migliori della sua classe di età in prospettiva futura per le corse dure.
La poca appariscenza in gara ben si sposa con la sostanza dei suoi risultati: top 20 a Tour du Var, Amstel e Freccia Vallone, più top 10 al Giro di Polonia e alla Coppa Agostoni, il tutto all’interno di un calendario fatto da soli 37 giorni di corsa, stilato guardando più al lungo che al breve termine.
Nonostante ancora un anno di contratto coi fratelli Roodhooft, il richiamo del Team Ineos, irrinunciabile per chi è cresciuto coi successi al Tour della compagine inglese, è stato troppo forte per Ben, il quale si è trasferito alla corte di Sir Brailsford al termine di un braccio di ferro economico tra i due team, addirittura soggetto ad un accordo di riservatezza.
Un passaggio forse prematuro, considerato che alla Alpecin, complice una concorrenza interna praticamente nulla per quanto riguarda la classifica generale dei grandi giri, avrebbe avuto da subito spazio per testarsi libero da compiti di gregariato, eventualità invece non troppo remota vista la profondità del roster albionico.
Ad ogni modo Tulett ha tutte le carte in regola per scalare velocemente le gerarchie della Ineos, grazie a quei tempi di adattamento ridotti al minimo, come già dimostrato in questo inizio di stagione, frutto della sua formazione di fatto fiamminga e alla notevole esperienza, in rapporto all’età, a patto che il suo sviluppo sia subordinato solo a step di crescita fisiologici, se ce ne sarà bisogno, e non dovuti ad una cieca obbedienza a dettami aprioristici.