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    Vito Taccone, campione e personaggio

    Maurizio RicciDi Maurizio Ricci20 Gennaio 20223 Minuti di Lettura

    Nato l’8 maggio 1940 ad Avezzano (L’Aquila) ed ivi deceduto il 15 ottobre 2007. Completo. Alto 1,64 m. per 58-59 kg. Professionista dal 1961 al 1970 con 27 vittorie. 

    Dire che Vito Taccone è stato un grande personaggio degli anni sessanta, può apparire un eufemismo. L’abruzzese tignoso e loquace, fu davvero il protagonista principale del Processo alla Tappa di Sergio Zavoli e basterebbe già questo, come biglietto da visita. Vito però, era pure un campione, uno che se avesse contenuto i suoi furori, probabilmente, un Giro d’Italia, lo avrebbe potuto vincere. Per le sue doti di scalatore, ereditò presto la definizione di “camoscio d’Abruzzo”, ed è riuscito a evidenziarsi in circostanze particolarmente significative, che ne dimostravano ampiamente i valori, ma anche una certa fragilità, quando incontrava più salite in successione. Il resto lo faceva il suo essere nelle bocche di tutti, indipendentemente da una considerazione di simpatia o antipatia. 

    Dopo esser stato un buon dilettante, debuttò alla grande fra i professionisti nel 1961, vincendo la Tre Giorni del Sud e due tappe della stessa, la frazione di Potenza al Giro d’Italia e il Giro di Lombardia. In questa occasione seppe superare una crisi che l’aveva portato sull’orlo del ritiro e poi a battere uno scalatore come lui, Imerio Massignan. Nel ’62 subì una flessione in quanto a vittorie, ma non in termini di presenze e piazzamenti, vinse comunque il Giro del Piemonte. Esplosivo il suo 1963. Al Giro d’Italia fu per taluni aspetti vincitore morale, grazie a cinque successi di tappa di cui quattro consecutivi: ad Asti, Oropa, St. Vincent e Leukerbad, ai quali aggiunse anche il prestigioso traguardo di Moena. Grazie a lui la maglia verde con fascia bianca della Lygie, divenne una delle più popolari. Non vinse il Giro, perché fu vittima delle sue amnesie proprio nelle tappe di minore importanza. 

    Durante l’anno vinse, sempre con un’azione di forza, anche il Giro di Toscana. Nel ’64, lo si aspettava ad un acuto principalmente nella “Corsa Rosa”, visto che nel propedeutico Giro della Svizzera Romanda, aveva vinto da gran campione la tappa di Ovronnar, ma sulle strade italiane si perse un po’ e pagò non poco le attenzioni che su di lui l’intero gruppo riservava. Vinse comunque la tappa di Parma, a cui aggiunse ……le sue vittorie post gara al “Processo”. Continuò a rimanere ai vertici, ma le vittorie cominciarono a diradarsi. Nel ’65 vinse la Milano-Torino, nel ’66 il Trofeo Matteotti, la tappa di Diano Marina al Giro d’Italia e quella di Roschbach al Tour de Suisse. Nel 1968, il suo ultimo successo, nella durissima Marina di Massa-Pian della Fioba. Nel suo palmares al Giro d’Italia sono da considerare, oltre alle otto tappe vinte, anche i successi nella classifica finale del GPM nel 1961 e ’62. 

    Partecipò anche al Tour de France, una sola volta però, perché per quello che combinò in quell’unica partecipazione, si guadagnò l’antipatia dell’organizzazione. Nel 1964, infatti, si rese protagonista di un clamoroso match di pugilato con lo spagnolo Fernando Manzaneque e fu incolpato di aver causato diverse cadute negli arrivi in volata, per i suoi scatti scomposti. Fu azzurro ai Mondiali nel 1963-’64-’66-’68 e’69, raggiungendo come miglior risultato il 5° posto ad Imola ’68. Finì secondo ai Campionati Italiani ’68 vinti da Gimondi e a quelli dell’anno successivo vinti da Adorni. Chiuse la carriera nel 1970, in una formazione, la Cosatto Morsicano, di cui era anche sponsor. Nel dopo, è stato un imprenditore, con soventi puntate come colorito commentatore televisivo. Ripeto, un personaggio, aldilà dei suoi evidenti valori di corridore.

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