Ventesima Edizione – 20 settembre 1924
Al ritrovo in Piazza San Giovanni si presentarono 31dei 38 iscritti, ed alla partenza fissata al Quadrato della Concordia, alle 5,40 del mattino, altre due defezioni dell’ultima ora, portarono i partenti a 29. Anche questa edizione fu valida per il Campionato italiano a punti. La corsa, si mosse densa di episodi e di attacchi a dispetto dell’andatura, che non toccò mai vertici di pregio, a causa della strade apparse più polverose del solito e della forma non ottimale di diversi dei più attesi protagonisti, incapaci di dar seguito alle loro azioni. Fu una gara a scatti e recuperi, che evidenziò la combattività del fiorentino Linari, del romagnolo di Cotignola Gordini e del romano Lazzaretti. Girardengo andò sovente in crisi, al pari di Gay, anch’egli molto atteso. Taluni si ritirarono prima della fase più calda, come Aimo, Belloni e Gremo, sia per guasti meccanici e sia per una condizione claudicante. L’episodio che ebbe un peso determinante sulla corsa avvenne ad una quarantina di chilometri dall’arrivo, quando forò Girardengo. A quel punto attaccò ancora Linari, più deciso che mai, che tolse fiato a Ciaccheri, incrinò la difesa di Bestetti e mise in crisi la veemenza dell’inseguimento di Lazzaretti e Gordini, ovvero dei due che più di tutti rimasero nei paraggi dell’indemoniato corridore toscano. Poi, un altro episodio decisivo sulla salita di Tor di Quinto, quando Linari che stava fiaccando le resistenze di Gordini e Lazzaretti tornati sulla sua ruota, cadde. A stento gli altri due lo evitarono, mentre al fiorentino, non restò altro che constatare, che a fronte delle sue buone condizioni, la sua bici si era rotta irrimediabilmente. Mentre i due battistrada, in piena Roma, stavano accingendosi a prepararsi per lo sprint, avvenne il decisivo colpo di scena: in un attimo di disattenzione, Gordini, che era in testa, sbagliò strada. Non così Lazzaretti, che trovò lo slancio per involarsi in solitudine verso il vicino traguardo. Fra la sorpresa generale, il tanto pubblico che gremiva lo Stadio Nazionale, vide così un altro romano vincere la prestigiosa corsa e lo poté festeggiare con un motivo in più. Al deluso e meritevole Gordini, andò un posto d’onore beffardo, mentre Bestetti, che sembrava sicuro terzo, quasi si fermò per farsi superare dall’amico e compagno di squadra Girardengo, al fine di fargli guadagnare un punto in più nella classifica del Tricolore.
Sul vincitore.
Romolo Lazzaretti, nacque ad Arcidosso, in provincia di Grosseto, il 17 novembre 1896. Morì a Roma il 9 giugno 1979. Passista scalatore. Professionista dal 1922 al 1929 con due vittorie. Divenuto romano in tutti i sensi per il trasferimento della famiglia, assieme al fratello minore Remo (anch’egli corridore professionista nel 1922), aprì nel 1916, una bottega per la riparazione di biciclette e macchine da cucire, che, in seguito, diverrà un vero emporio di costruzione e vendita di ogni tipo di bici, nonché punto catalizzatore di cultura ciclistica della Capitale. Fu questo il motivo del suo tardivo passaggio al professionismo, avvenuto nel 1922, dopo buoni risultati fra i dilettanti. Nell’anno d’esordio, la sua tenacia e la sua predisposizione alle corse dure, lo portò al 4° posto nella XX Settembre, al 9° posto al Giro d’Italia e al 15° nel Campionato Italiano. Dopo un ’23 avaro di risultanze, si mostrò vincente l’anno successivo, quando ottenne un paio di esaltanti e primarie vittorie: nell’infinita tappa Bologna-Fiume di 415 chilometri del Giro d’Italia (poi chiuso 18°) e nella “XX Settembre”. Nell’anno fu poi 7° nel Tricolore. Col 1925, iniziò la sua parabola discendente, anche se restò riferimento del ciclismo centro-meridionale. Nel 1925, partecipò con la Meteore-Wolber, la sua squadra, al Tour de France, ma si ritirò alla 14° tappa, quella del Galibier. Nel 1926, chiuse 11° il Giro d’Italia. Nel 1929 appese al chiodo i suoi furori agonistici, non quella bicicletta che, nei suoi locali di Roma, fra costruzioni e riparazioni, fu la sua compagna di vita, fino all’ultimo dei suoi giorni.
Ordine d’arrivo:
1° Romolo Lazzaretti Km 296,5 in 11h59’0″ alla media di 24.743 kmh; 2° Michele Gordini a 1′; 3° Costante Girardengo a 1’40”; 4° Pietro Bestetti a 2’30”; 5° Nello Ciaccheri a 6′; 6° Emilio Petiva; 7° Riccardo Gagliardi a 21′; 8° Angelo Gabrielli; 9° Angelo Marchi a 21’130”; 10° Federico Gay a 31’25”;11° Antonio Tecchio; 12° Luigi Natale Lucotti a 58’23”; 13° Felice Di Gaetano;14° Pasquale Di Pietro.
Ventunesima Edizione – 20 settembre 1925
Su un percorso che si muoveva verso nord est di Roma, ed aveva come riferimento intermedio la città di Rieti, partì dai Cessatì Spiriti la ventesima edizione della Corsa del XX Settembre. Un tracciato più duro dei precedenti, anche se con una lunghezza complessiva più corta del solito: 299 km. Si attendeva un duello fra l’anziano, ma ancora asso Costante Girardengo, ed il veneto in gran crescita, poi mai compiutamente divenuto big, Adriano Zanaga. Col ruolo di outsider di peso quali i vari Gay, Belloni, Petiva e quel Lazzaretti che, era pur sempre il vincitore uscente. La corsa non deluse le attese per quanto riguarda la battaglia fra costoro e se alla fine non fu veloce, il motivo fu soprattutto legato allo stato delle strade e alle difficoltà del percorso. Un momento imbarazzante e di panico per il gesto che ne fu alla base, fu vissuto a Rieti, al rifornimento, quando un anonimo spettatore, lanciò verso Girardengo, una bottiglia vuota, col chiaro intendo di fargli male. Pur andando a segno, il fuoriclasse di Novi assorbì l’impatto e ripartì poco dopo riportandosi sul drappello di testa, che s’era ridotto ad una decina d’unità. La corsa, visse il momento cardine ad una trentina di chilometri dal termine, quando dal drappello citato, evasero Belloni, Zanaga, Ciaccheri, Gilli e lo stesso Girardengo. In prossimità dello Stadio, sede d’arrivo, mollò Gilli e fra i quattro rimasti fu volata di grande intensità. Ad avere la meglio, ancora una volta, fu il “Campionissimo di Novi”, che superò l’eterno rivale Belloni e l’atteso Zanaga, con Ciaccheri quarto. Per Costante fu il quinto successo nella XX Settembre.
Ordine d’arrivo:
1° Costante Girardengo Km 299 in 12h28′ alla media di 23,958 kmh; 2° Gaetano Belloni; 3° Adriano Zanaga; 4° Nello Ciaccheri; 5° Gianbattista Gilli a 48″; 6° Arturo Bresciani a 1’12”; 7° Emilio Petiva a 1’32”; 8° Romolo Lazzaretti a 1’37”; 9° Angelo Verona a 2’42”; 10° Federico Gay a 3’12”; 11° Raffaele Perna a 11’12”; 12° Leonida Frascarelli a 14′ 02″; 13° Felice di Gaetano a 17’32”; 14° Pasquale Di Pietro a 17’37”; 15° Antonio Tecchio a 18’32”; 16° Alfredo Barducci a 24’12”; 17° Leonardo Marcantoni a 26’43”; 18° G. Pica a 1h15’12”.
Ventiduesima Edizione – 28 novembre 1926
Si potrebbe proprio dire “Veni vidi vici”. Alfredo Binda, non ancora leggendario campione tra i più grandi della storia, partecipò per la prima volta alla Corsa del XX Settembre e…naturalmente vinse, un’edizione comunque ridotta nel chilometraggio a 224 chilometri e corsa nell’insolita data del 28 novembre, causa impossibilità nell’intorno del periodo storico di fine estate, ed inizio autunno. Dominò un campo non stellare, ma con dei buoni corridori in prospettiva. Partirono 28 ciclisti.
Sul vincitore.
Cinque Giri d’Italia, uno, non corso perché pagato per ….troppa superiorità, tre Mondiali, 118 corse vinte, dicono già tutto? No. Alfredo Binda è stato di più. La sua storia è un solco che si sublima perfettamente col ciclismo eroico, dove le strade già facevano la differenza e lui, principe di quel pedale, possedeva una forza tale, da apparire corridore di cinquanta anni dopo.
Alfredo era forte su tutti i terreni e non era nemmeno cannibale, perché sovente si limitava a vincere senza dominare come avrebbe potuto. Una figura lontana e, per quel ciclismo così ancora poco internazionalizzato nella circolazione delle notizie e delle tangibilità, non sempre ricordata come meriterebbero i suoi valori straordinari, potremmo dire unici.
Nato a Cittiglio (Varese) l’11 agosto 1902, divenne corridore quasi per caso, dopo essersi trasferito in Francia per lavorare. Là faceva lo stuccatore, ma osservava gli avvenimenti con attenzione, come del resto fece sempre, fino all’ultimo dei suoi giorni. Il richiamo della bicicletta lo raggiunse dopo aver staccato amici e compagni di lavoro, nonché Primo, il fratello maggiore che aveva tentato senza successo di correre per davvero. Nel 1921, un emigrante italiano del Piemonte, vedendolo così bravo, gli prestò la sua bicicletta da corsa, affinché provasse l’agonismo, ed Alfredo rispose da par suo, vincendo alla prima occasione, ma fu squalificato per non aver risposto al secondo appello di controllo: era troppo inesperto per sapere queste cose. Si rifece subito vincendo spesso e dimostrando di avere una marcia decisamente in più, quando la strada saliva. La voglia di ritornare in Italia e di fare del ciclismo un mestiere, lo spinse ancora, da perfetto sconosciuto nel suo vero Paese, a trasferirsi in bicicletta da Nizza a Milano, con lo scopo di prendere parte al Giro di Lombardia, la regione sua di nascita e di cuore. Un viaggio estenuante che sciolse lo scetticismo degli organizzatori nell’accettarlo. E così poté partire per la corsa, nonostante avesse nelle gambe già centinaia e centinaia di chilometri. Si comportò così bene, che la Legnano lo assunse per il Giro del 1925, con lo scopo di fare da gregario a Brunero, già vincitore delle edizioni del 1921 e ’22.
La risposta di Binda sulle strade, fu subito quella del corridore di razza e vinse il Giro alla prima occasione. Durante tutta la corsa, ad ogni segno vincente, il suo entusiasmo lo portò a festeggiare come se avesse concepito un nuovo ed illuminato mondo. Un episodio memorabile, lo fece vivere al termine della vittoriosa tappa Roma-Napoli, quando, per esprime la propria gioia suonò una cornetta presa in prestito da un musicante della banda presente per festeggiare i corridori. Alla fine del ‘25, si ripeté in un successo di prestigio: vinse il Giro di Lombardia. Nel 1926, trionfò nel Giro del Piemonte. Al Giro d’Italia dopo esser caduto nella prima tappa ed aver perduto una quarantina di minuti, seppe recuperare giorno dopo giorno, fino a giungere secondo a Milano. Ancora inesperto, Binda iniziò a far tesoro di tutto quello che un anziano come Pavesi gli diceva, ed a forgiare le sue convinzioni.
Proprio nel ’26, si verificò uno dei suoi aneddoti più celebri: le 28 uova bevute la mattina prima di partire per il Giro di Lombardia, poi vinto con quasi 30 minuti di distacco sul secondo e coi ritardatari, ancora in corsa, osservati dallo stesso Alfredo alla stazione per Varese, quando ormai aveva preso la via del ritorno. Il 1927, segnò il suo dominio, pressoché totale, al Giro d’Italia. Vinse 12 tappe su 15 e, ovviamente, fu primo a Milano.
Alla prima edizione dei Campionati del Mondo su strada, lungo il difficile circuito del Nurburgring, in Germania, divenne il primo iridato, praticamente davanti all’intera squadra italiana. Rivinse poi il Giro di Lombardia. La stagione successiva, considerata anni dopo da Binda come la sua peggiore, lo vide ancora vincente al Giro d’Italia (con 7 tappe vinte), ma ai Mondiali di Budapest, la difficile convivenza con Girardengo, lo spinse ad una gara incolore. Nel 1929, rivinse il Giro d’Italia, ma a Milano il pubblico lo fischiò per il suo strapotere. E fu da questo episodio, che gli organizzatori iniziarono a meditare un provvedimento unico nella storia del Giro: pagarlo per non partecipare. Ed infatti, all’edizione del 1930, Binda, non fu al via. Al pubblico si disse che era assente per preparare il Tour, ma, di fatto, Alfredo aveva accettato, sottobanco, il cospicuo rimborso di 22.500 lire (l’ammontare del montepremi per il vincitore della corsa e il successo in alcune tappe). Al Tour partecipò, ma si ritirò per incidenti e cadute. Si rifece ai Mondiali di Liegi, dove vinse la sua seconda Maglia Iridata.
Il 1931, s’aprì con la vittoria nella Milano Sanremo, mentre al primo Giro d’Italia, dove si assegnava la Maglia Rosa, fu costretto al ritiro per una caduta che gli impedì di partecipare anche al Tour. Ripresosi, dominò il Lombardia, lasciando il secondo classificato, a 18 minuti. L’anno successivo, il primo delle radiocronache, la vittoria più grande di Binda fu sicuramente il Campionato del Mondo, disputato a Roma.
Learco Guerra intanto, era diventato un valido e temibile avversario dell’uomo dei “Garun” (la definizione di Alfredo sui garretti, come fattore di forza), ma nel ’33, il cittigliese, riuscì ugualmente a dominare il suo quinto Giro d’Italia. A Milano lo attesero festosi per quella che poi sarà l’ultima sua grande vittoria. Le stagioni seguenti, infatti, segnarono l’inevitabile declino, dopo oltre 10 anni di vittorie memorabili. L’addio definitivo alle corse, nel ‘36, dopo una rovinosa caduta nel corso della Milano Sanremo. Successivamente, Alfredo Binda, da grande corridore si trasformò in altrettanto grande condottiero, guidando la Nazionale Italiana agli storici successi di Coppi e Bartali al Tour. L’uomo che fu pagato per non correre, morì il 19 luglio 1986.
Ordine d’arrivo:
1° Alfredo Binda Km 224 in 8h08’08” alla media di 27,533 kmh; 2° Leonida Frascarelli a 11′; 3° Giuseppe Pancera a 14’18”; 4° Arturo Bresciani a 18’42”; 5° Guido Lattanzi a 29’42”; 6° Secondo Martinetto a 41’38”; 7° Angelo Gremo 8° Gioacchino Malassisi a 44’22”; 9° Arnaldo Moscatelli; 10° Di Tommaso a 45’27”.
Ventitreesima Edizione – 20 settembre 1927
Col Campione del Mondo Alfredo Binda, vincitore uscente, il secondo ai medesimi Mondiali, nonché 5 volte vincitore della “XX Settembre” Costante Girardengo, ed i migliori italiani, l’edizione del 1927, fu da considerarsi stellare. Il ritorno alla formula antica di un itinerario verso Napoli e ritorno, senza soluzione di continuità, ma allungato di cento chilometri per ricercare salite, seppe raccogliere 32 partenti. L’arrivo previsto al Velodromo Appio di Roma, annunciò già il giorno prima un pubblico incredibile. La gara però, fu grande, non già per le figure più attese di Binda, Girardengo e Brunero, bensì per un veronese dalla scorza dei lottatori indomiti: Giuseppe Pancera. Costui fu autore di un’impresa tra le più belle del ciclismo eroico, grazie ad una fuga solitaria e vincente di quasi 400 chilometri. Partito poco prima di Capua, dove si ritirò Girardengo, giunse a Napoli con più di 17’47” sul gruppo dei migliori, con in testa l’iridato Binda, continuò imperterrito la sua azione nel ritorno. Poco prima di Frosinone, con Pancera in anticipo di quasi mezzora, causa una foratura, si ritirò proprio il Campione del Mondo, sicuro di non poter più recuperare, per l’aggiunta del tempo richiesto dal guasto, lo svantaggio sul battistrada. Il veronese, a Fiuggi giunse ad un vantaggio di 36 minuti su Fossato e Gardini, i primi inseguitori. Con il sopraggiungere di Piglio, iniziò la parte più dura del percorso, quella nuova ed il vantaggio di Pancera, iniziò a diminuire su Fossati, che, nel frattempo, aveva staccato Gordini. In cima alla salita di Arcinazzo, l’inseguitore giunse al punto più vicino rispetto al battistrada, ma il disavanzo restò rassicurante, 14 minuti, per un Pancera che appariva più fresco. Ed infatti, nel finale incrementò l’andatura, giungendo all’Appio, sede d’arrivo, con venti minuti su Fossato e oltre un’ora su Gordini. La festa per lui, dopo il traguardo, assunse i caratteri del giubilo: in fondo s’era vissuta un’impresa da leggenda.
Sul vincitore.
Giuseppe Pancera, nacque a San Giorgio in Salici (VR), il 10 gennaio 1899. Morì a Castelnuovo del Garda (VR), il 19 aprile 1977. Passista scalatore. Professionista dal 1925 al 1934 con 12 vittorie. Fu senza ombra di dubbio un protagonista del ciclismo italiano nella seconda metà degli anni ’20, fino ad anni ’30 iniziati, sia nelle corse in linea, che nelle corse a tappe, dove seppe cogliere brillanti posti d’onore al Giro d’Italia del ’28, dietro ad Alfredo Binda e, soprattutto, al Tour de France del ’29, alle spalle del belga Maurice Dewaele. Qui, sfruttò al meglio la sua regolarità che, accompagnata ad una tenacia incredibile, lo portarono ad un risultato strepitoso quanto sorprendente. Ciò lo rese popolarissimo, nonostante la presenza in gruppo di personaggi entrati nella cultura e nel costume degli italiani quali Binda e il vecchio Costante Girardengo. Instancabile pedalatore, fu autore di fughe tanto spericolate, quanto, alla luce della razionalità, da considerarsi impossibili. Prova ne fu, il suo tentativo vincente alla XX Settembre del ’27, classica che fece sua con una fuga di 400 chilometri. Altrettanto evidenti suoi pregi, oltre alla tenacia, la modesta e il suo carattere taciturno, che lo preservarono spesso dagli aloni negativi della popolarità e dalle troppe attenzioni degli avversari. Fu Campione d’Italia degli indipendenti nel 1926 e dei professionisti-junior nel ’27, due successi che, forse, avevano stuzzicato nell’osservatorio, voli esagerati di previsioni sul futuro, ma non certo per lui. Gli altri suoi successi furono: la Coppa Bernocchi, il Criterium d’Apertura e la Coppa d’Inverno nel 1926; ancora la Coppa Bernocchi nel ’27; la terza tappa del Giro di Catalogna nel ’28; il Giro del Lago di Garda nel ’29; la seconda, la terza e la quarta al Giro di Catalogna del ’30. Tanti i piazzamenti, spesso dovuti alla mancanza di spunto veloce. Di rilievo anche il terzo posto conquistato nella massacrante “Parigi-Brest-Parigi” del 1931, una gara di 1200 chilometri, senza soluzione di continuità, che fu pure l’ultimo suo piazzamento di peso. In carriera ha partecipato a sette Giri d’Italia, di cui sei finiti (11° nel ‘25; 12° nel ’26; 5° nel ’27; 2° nel ’28; 7° nel ’29; ritirato nel ’30; 39° nel ’34), a quattro Tour de France (2° nel ’29; 20° nel ’30; ritirato nel ’31; 32° nel ’32). Il miglior piazzamento nelle “Classiche Monumento” italiane, fu il 4° posto nel Giro di Lombardia del 1927. Per la sua instancabilità di pedalatore fu soprannominato “Mangiachilometri”. Anche il fratello maggiore Eliseo, ed il fratello minore Antonio, furono corridori professionisti, ma non ottennero risultati particolarmente significativi.
Ordine d’arrivo:
1° Giuseppe Pancera Km 465 in 21h13’ alla media di 22,142kmh; 2° Pietro Fossati a 20’; 3° Michele Gordini a 1h10’; 4° Secondo Martinetti a 1h39’; 5° Tullio D’Achille a 1h51’; 6° Pietro Bestetti a 2h17’; 7° Filippo Torti; 8° Raffaele Perna; 9° Arnaldo Bergami; 10° Riccardo Gagliardi.
GLI EPISODI PRECEDENTI
Prima parte: https://cyclingchronicles.it/storici/la-grande-storia-della-roma-napoli-roma-parte-1/
Seconda parte: https://cyclingchronicles.it/storici/la-grande-storia-della-roma-napoli-roma-part-2/
Terza parte: https://cyclingchronicles.it/storici/la-grande-storia-della-roma-napoli-roma-parte-3/
Quarta parte: https://cyclingchronicles.it/storici/la-grande-storia-della-roma-napoli-roma-parte-4/
Quinta parte: https://cyclingchronicles.it/storici/la-grande-storia-della-roma-napoli-roma-parte-5/