Una manifestazione che ha fortemente segnato la storia del nostro ciclismo e che, per lungo tempo, è riuscita da sola a mantenere vivo l’entusiasmo della gente del centro sud verso lo sport del pedale. Ad una disamina attenta, la Roma-Napoli-Roma, nelle varie versioni, richiamò a sé diversi primati, ed è oggi, a ben più di mezzo secolo dalla sua ultima edizione, una misura, nella sua evoluzione, di altre tendenze che, se vogliamo, hanno evidenziato quanto l’Italia ciclistica abbia sottostimato il patrimonio di talune corse, soprattutto a sud della Toscana. Intanto, va pesato il pubblico che l’ha sempre accompagnata: spesso tracimante per la passione, presente copioso sulle strade, quanto sui paesini attraversati; imponente come per eventi di grande portata, sugli arrivi. Per ritrovare simili entità, resta solo il Giro d’Italia. Cosa significhi tutto questo, è evidente e non servono commenti. Poi, per l’originalità, che ha mostrato versioni non comuni nel periodo dei corridori-forzati della strada, per arrivare a giungere, nell’ultima fase, ad una proposta ciclo-motoristica che, a ben vedere, si sposerebbe bene anche col ciclismo di oggi, se l’idrovora UCI non fosse tale e la FCI pensasse con più acume alla gestione e alla verve che servono al ciclismo italiano.
La storia di questa corsa, infine, sempre consumata in condivisione e accostamento a giornali, ha evidenziato quanto diversi fogli del settentrione abbiano, di fatto, sostenuto ed incentivato la tendenza a vedere il nord ricco, operoso ed intelligente, ed il sud povero, corrotto e vagabondo. È una verità, questa, tanto evidente quanto insolvibile a quel politicamente corretto che spesso rincretinisce la gente. Checché se ne dica, anche lo sport, ed il ciclismo è stato a lungo la prima disciplina sportiva di questo paese, divenne ben presto un pretesto per sostenere quella stupida linea culturale (che meriterebbe il “colturale”, per le beffe che s’è fatta di una di una corretta analisi storica), che tanto sta infangando questo martoriato paese. La Roma-Napoli-Roma non ha, dunque, mai avuto la giusta riconoscenza nei giornali del nord e non per le logiche di concorrenza, dettate dal fatto che essa era abbinata a giornali del centro-sud, bensì per un qualcosa, purtroppo, di assai più ampio. Basta sfogliarli quei fogli, leggerli e fare una disamina con traduzione statistica. Punto.
Ottava Edizione–19/20 settembre 1909
Un’edizione sfortunata, con code polemiche che misero un punto all’esperienza di un traguardo vero di tappa a Napoli. E una prova che i corridori, che stavano crescendo ovunque, al sud quanto al nord, avessero allora forse più forza e una volontà sindacale migliore, rispetto ai colleghi di oggi. Sembra paradossale, ma quanto avvenne nella prima tappa di questa corsa, al netto dei tempi, delle conoscenze, dei rudimentali strumenti di corsa dell’epoca e dello stato delle strade, andò in questa direzione. I ciclisti, venuti a sapere a ridosso della partenza, che l’arrivo di Napoli, era posto all’interno dell’Ippodromo di San Pietro a Patierno, un piccolo comune nella periferia nord est della città partenopea, minacciarono il ritiro, se non fosse stata cambiata la sede d’arrivo. Non volevano prestarsi al facile caos e alle conseguenti contestazioni che potevano sorgere all’ingresso dell’impianto e nel giro e mezzo di percorrenza sull’anello dell’ippodromo. A loro parere si sarebbero creati i presupposti per un arrivo irregolare e vista l’impossibilità di giungere direttamente nell’impianto, a causa del brevissimo rettilineo, rimasero decisi sull’imporre lo spostamento della sede dell’epilogo. L’organizzazione accettò, ma in virtù dell’impreparazione e delle difficoltà di collegamento con Napoli (allora non c’erano certo i mezzi di comunicazione di oggi…), creò ulteriore caos. All’Ippodromo di San Pietro in Patierno, infatti, viste le informazioni di tutti i giornali, s’era radunata una folla strabocchevole, con tanto di pagamento di biglietto, come fosse una gara di trotto. Prima dell’arrivo dei corridori, per riempire l’attesa, erano state previste delle gare podistiche, che si svolsero normalmente, ma quando il pubblico capì che la corsa non sarebbe terminata lì, successe il pandemonio. La pretesa, legittima, di un rimborso dei soldi pagati per il biglietto, trovò impreparata tanto l’organizzazione, quanto le poche forze dell’ordine presenti, per la gran parte destinate sulla via provinciale del Comune di Casoria, fiancheggiante il binario della ferrovia secondaria, dove era stato posto il “vero” arrivo di tappa. Fatto sta che fra un problema e l’altro, proprio qui arrivarono i corridori, trovando il traguardo richiesto, anche se con uno scenario che definirlo rudimentale, rappresentava un eufemismo.
Roma – Napoli
E dire che l’edizione visse una grande attesa e un buon numero di partenti, 66, che eguagliava il record di partecipanti. Notevole pure l’andatura nelle fasi iniziali dove il “tutti in gruppo” fu rotto dalla spaccatura del cerchione della ruota posteriore della bici del milanese Sala, costretto al ritiro e di Cuniolo, fermatosi per i postumi della caduta al Giro dell’Emilia. A Frosinone passò primo Canepari, con un leggero vantaggio sul gruppo. A Cassino la testa fu di Bruschera, sul grosso composto da 40 uomini. Verso Capua si verificarono cedimenti che ridussero il numero dei componenti il gruppo, di una buona metà. Gli ultimi chilometri furono un testa a testa fra il vincitore del Giro d’Italia Luigi Ganna e il torinese Vincenzo Borgarello, che allungarono la fila del drappello al comando, senza provocare distacchi di nota. La volata non ebbe storia e vide Ganna primeggiare senza problemi, anche grazie alla foratura di Borgarello, che tagliò il traguardo secondo con la gomma praticamente a terra, anticipando ugualmente Gerbi…che pianse per essere arrivato terzo. Il drappello che disputò la volata decisiva, era composto da nove corridori.
Ordine d’arrivo:
1° Luigi Ganna km 230 in 8h42′ alla media di 26.437 kmh; Vincenzo Borgarello; 3° Giovanni Gerbi; 4° Mario Ferrario; 5° Eberardo Pavesi; 6° Dario Beni; 7° Cesare Costa; 8° Battista Danesi; 9° Giuseppe Santhià; a distacchi maggiori 10° Mario Bruschera; 11° Pietro Aimo; 12° Mario Fortuna; 13° Cesare Brambilla; 14° Clemente Canepari; 15° Mario Gallia; 16° Amedeo Salmoiraghi; 17° Alfredo Jacobini; 18° Luigi Cagna; 19° Giovanni Ciotti; 20° Francesco Perrotta; 21° Amadeo Baiocco; 22° Adriano Jacobini; 23° Nicola Bianchedi; 24° Antonio Bizzarri; 25° Angelo Erba; 26° Emilio Chironi; 27° Antonio Lori; 28° Gino Brizzi; 29° Arnoldo Galoppini; 30° Giuseppe Galbai; 31° Luigi Chiodi; 32° Mario Costa; 33° Ernesto Azzini; 34° Giuseppe Broni; 35° Guglielmo Franceschini; 36° Giovanni Perrotta; 37° Arnaldo Nanbocci; 38° Angelo Carosi; 39° Umberto Jacomino; 40° Giuseppe Dilda; 41° Alessandro Pazienti; 42° Giuseppe Perna; 43° Gaetano Uras; 44° Giorgio Troschiatti; 45° Francesco Morrone; 46° Giovanni Miele; 47° Tebaldo Panigucci; 48° Carlo Barchiglioni; 49° Augusto Nicoletti; 50° Azeglio Tomarelli; 51° Mayer; 52° Jazzini; 53° Molda; 54° Elefante; 55° Di Lazio; 56° Mari.
Napoli – Roma
Con gli echi fortissimi del caos del giorno prima, partì la seconda e decisiva tappa da Napoli a Roma. La corsa si mosse tranquilla fino a Capua, dove a causa di un carro di tronchi, si verificò una caduta che costrinse Dario Beni al ritiro. Sulla salita di Itri, scattò Pavesi, raggiunto da Canepari e Gerbi, ma furono ben presto ripresi. A Cisterna, sotto la spinta di Ganna e Pavesi, il gruppo si spezzò e la salita di Velletri portò al comando un quartetto composto dall’indemoniato Ganna, Pavesi, Pietro Aimo e Gerbi. Vedendo quest’ultimo in difficoltà, il vincitore del Giro d’Italia, attaccò ulteriormente e lasciò gli altri. A Genzano passò con quasi cinque minuti di vantaggio sui tre inseguitori, ma non tardò ad andare in crisi. Una debacle che diventò disperazione e sfinimento a pochi chilometri da Roma, già sull’Appia antica, quando venne raggiunto e superato dal terzetto. A quel punto Ganna si fermò e si ritirò nonostante le sollecitazioni del direttore sportivo dell’Atala, la sua squadra, e del pubblico, gridando: “O primo o ultimo”. Poco dopo, Pavesi tentò subito l’allungo, staccando Aimo e Gerbi. Quest’ultimo però, dopo un momento di tentennamento, si rimise a tirare da par suo e all’ultimo chilometro si riportò nella scia del battistrada, con alla ruota Aimo. Il pubblico enorme (i giornali dell’epoca parlarono di 60.000 persone), aveva lasciato a disposizione dei corridori, sopraffacendo le forze dell’ordine, uno stretto corridoio ampio non più di due metri. Ciò provocò non pochi problemi di equilibrio ai tre ciclisti, costretti a ripetute frenate e sbandamenti. Ad un centinaio di metri dal traguardo, due ciclisti invasero improvvisamente la strada e Pavesi, che aveva già lanciato la volata, li centrò in pieno, trascinando nella caduta anche Aimo e Gerbi. Quest’ultimo fu il primo a rialzarsi, ed a vincere per il sostegno dei suoi tifosi, con le mani. Un epilogo amaro, per una edizione sfortunata, nonostante un pubblico come mai s’era visto.
Ordine d’arrivo:
1° Giovanni Gerbi Km 230 in 9h34′ alla media di 24,042 kmh; 2° Eberardo Pavesi; 3° Pietro Aimo; 4° Battista Danesi a 3′; 5° Emilio Chironi a 6′; 6° Vincenzo Borgarello a 13′; 7° Giuseppe Santhià a 15’; 8° Giovanni Ciotti; 9° Mario Ferrario; 10° Giuseppe Galbai a 18′; 11° Luigi Cagna; 12° Nicola Bianchedi; 13° Clemente Canepari a 28′; 14° Gino Brizzi a 33′; 15° Amedeo Salmoiraghi a 38′; 16° Luigi Chiodi; 17° Mario Fortuna a 48′; 18° Umberto Jacomino; 19° Mario Gallia; 20° Alfredo Jacobini; 21° Cesare Costa; 22° Francesco Perrotta; 23° Antonio Lori; 24° Antonio Bizzarri; 25° Giuseppe Perna; 26° Giovanni Perrotta; 27° Giovanni Mayer; 28° Alessandro Pazienti; 29° Francesco Morrone; 30° Tebaldo Panicucci.
Nona Edizione–19/20 settembre 1910
Nonostante le difficoltà trasformatesi nel caos dell’edizione precedente a Napoli, la Società “Forza e Coraggio” di Roma, supportata dal giornale “Il Messaggero”, ripropose le due tappe, ma stavolta con una classifica finale a punti, di cui, come si vedrà, non vi fu bisogno d’uso. La folla rispose in maniera imperiosa, tanto a Roma, ma si poteva prevedere, quanto a Napoli, che non era per nulla scontato.
Roma – Napoli
La corsa partì alle ore 7 e 1 minuto, con 27 corridori, dei 51 iscritti. Fra chi aveva dichiarato forfait, anche Giovanni Gerbi, vincitore delle ultime tre edizioni. La gara si mosse veloce e con pochi spunti di cronaca. Il fatto cardine, poco prima di Capua, quando se ne andarono in quattro: Ganna, Galetti, Micheletto e Bruschera. Con buon accordo e senza registrare tentativi di allungo, il poker andò al traguardo posto sul rettilineo della Doganella, a ridosso di San Pietro a Patierno, la località dove si doveva arrivare nel 1909. I veloci Ganna e Galetti, di maggior classe complessiva, furono chiamati a fare i conti, coi velocissimi Micheletto e Bruschera. Fu quest’ultimo a prendere il comando e, con una progressione incredibile, a vincere nettamente, potremmo dire per distacco, su Ganna, Galetti e un Micheletto che s’era fatto anticipare troppo, o, probabilmente, era più stanco degli altri. Il milanese Bruschera, fu assai festeggiato dalla folla napoletana e la pace fra Napoli e la Corsa del XX Settembre, fu fatta.
Ordine d’arrivo:
1° Mario Bruschera Km 230 in 8h36’ media 26,744 kmh; 2° Luigi Ganna a 3”, 3° Carlo Galetti a 4”; 4° Giovanni Micheletto a 8”; 5° Eligio Bianco a 10’; 6° Giovanni Cuniolo; 7° Dario Beni; 8° Alfredo Sivocci; 9° Luigi Chiodi; 10° Enrico Sala; 11° Ezio Corlaita; 12° Gino Matteoni; 13° Mario Fortuna; 14° Clemente Canepari; 15° Ottorino Celli; 16° Giuseppe Contesini a 25’, 17° Luigi Pogliani; 18° Giuseppe Galbai; 19° Ingoda.
Napoli – Roma
La partenza avvenne da Capodichino, con una decina di minuti di ritardo: alle 7,10 del 20 settembre, in mezzo a una folla ancora una volta foltissima. Fu un inizio non velocissimo, a causa dei tanti veicoli presenti, indi per lo stato sempre più penoso delle strade. Proprio grazie ad un tratto più ingeneroso del già tanto solito, si verificò la prima fuga, ad opera di Ganna, Corlaita, Bruschera, Ingoda, Pogliani, Contesini, Micheletto e Galbai. Dopo qualche chilometro il gruppo si riunì, ed iniziò una lunga serie di incidenti meccanici e di cadute, che furono causa di numerosi ritiri.
A Capua, fu Ganna a guidare il gruppo composto da una dozzina di corridori in fila indiana, con gli altri già praticamente fuori dai giochi di corsa. Sulla salita di Migliano rimasero in testa in cinque, ossia Ganna, Galetti, Micheletto, Matteoni ed il giovane e bravissimo torinese Eligio Bianco. Successivamente, grazie ad un calo d’andatura nel drappello di testa, anche il giovane milanese Enrico Sala, ed il concittadino trionfatore a Napoli, ovvero Mario Bruschera riuscirono a portarsi sul drappello di testa.
La corsa in termini di fughe, praticamente finì lì, a parte il cedimento del toscano di Pescia, Gino Matteoni, avvenuto a Frosinone. I sei andarono così al traguardo, nonostante i tentativi di Ganna di sbarazzarsi del pericoloso Bruschera e di un pimpante Bianco, desideroso più che mai di giocare la sorpresa del neofita. La volata decisiva sul rettilineo dei Cessati Spiriti a Roma, colmo di decine di migliaia di spettatori che avevano ridotto la carreggiata ad un budello, vide Ganna ai settanta metri in testa quasi sicuro di successo, ma il cavallo di un carabiniere si mosse più del solito, obbligandolo ad uno scarto che favorì la rimonta di Bruschera, che andò così a bissare e a conquistare con la vittoria anche la classifica. Secondo un deluso ed arrabbiato Ganna, terzo il sempre presente Galetti e quarto un arrabbiatissimo Micheletto. Indi Bianco e Sala. Praticamente il risultato di Napoli, che rese superfluo il conteggio dei punti.
Sul vincitore:
Mario Bruschera, nacque a Milano il 16 aprile 1887 ed a Milano morì il 23 febbraio 1968. Professionista dal 1909 al 1915 con 8 vittorie. Come tutti i corridori dell’epoca, anche quelli che superficialmente si definivano velocisti, era dotato di fondo, e non poteva essere diversamente, vista la morfologia delle gare su strada del tempo. Questo milanese però, possedeva nei finali una grande lucidità che lo faceva più veloce di altri. E lo dimostrò compiutamente nella sua vittoria più illustre, proprio la XX Settembre 1910, quando, sia sul traguardo intermedio di Napoli, che in quello decisivo di Roma, seppe battere i due più forti corridori italiani, ovvero Ganna e Galetti, anch’essi accreditati di ottimi spunti veloci.
Bruschera confermò dunque quanto di buono si era potuto vedere di lui nell’anno d’esordio, ovvero il 1909, quando vinse la Coppa Val d’Olona, finì secondo nel Campionato Italiano su strada, terzo nel Giro della Provincia di Pavia e nella Milano-Modena. Prima della Roma-Napoli-Roma, nel 1910, aveva già vinto due tappe del Giro “Ai mari, ai laghi, ai monti” e il Circuito del Casalese. Successivamente, s’aggiudicò il Giro del Piemonte nel 1911 e la Coppa San Giorgio nel 1912, anno nel quale finì 5° al Giro di Romagna. Ma la sua carriera fu assai breve, poiché sfociò in un rapido declino, ancor prima dell’arrivo della Prima Guerra Mondiale. Nel 1913 e nel 1914 nonostante l’inserimento in formazioni di rilevanza, non si fece mai notare e dopo il conflitto, pur avendo solo trenta anni, non riprese più l’attività agonistica.
Ordine d’arrivo finale:
1° Mario Bruschera Km 230 in 8h45’ alla media di 26,285 kmh; 2° Luigi Ganna; 3° Carlo Galetti; 4° Giovanni Micheletto; 5° Eligio Bianco; 6° Enrico Sala; 7° Gino Matteoni.
Decima Edizione – 19/20 settembre 1911
Pochi partenti, solo 20, ma tanti dei migliori, furono i protagonisti della decima edizione di una corsa che la Società “Forza e Coraggio” e il giornale “Il Messaggero” avevano portato al rango di classica. La durezza, soprattutto per lo stato delle strade e i premi, inferiori a quelli di corse come Milano-Sanremo e Giro di Lombardia, rappresentavano i limiti riconosciuti per stuzzicare presenze più massicce. Anche per il 1911, due tappe distinte, per una classifica finale basata sui punti dei piazzamenti.
Roma – Napoli
Nonostante l’orario di ritrovo, a Porta Pia alle 6 del mattino e la fredda brezza autunnale, i 20 partenti furono salutati dal pubblico delle grandi occasioni. Una marea umana, che divenne ancor più numerosa, alle 7,35, quando da Porta San Giovanni fu dato il via. La corsa si mosse spedita, ma senza particolari episodi di cronaca, almeno fino alla discesa di Cassino, quando scattò Ugo Agostoni, che riuscì a prendere il largo. La reazione al suo tentativo fu lasciata al solo Pierino Albini, che partì dal gruppo forse troppo tardi per ottenere successo. A Capua, causa lo stato delle strade, il gruppo si spaccò e si registrarono diversi ritiri. Il lombardo Agostoni, di Lissone, appena diciottenne, fece l’impresa ed arrivò al traguardo di Capodichino a Napoli con 12 minuti di anticipo su Albini, ed addirittura 22’ su Beni.
Sul vincitore:
Nato il 27 luglio 1893 a Lissone, deceduto a Desio il 26 settembre 1941. Passista. Professionista dal 1911 al 1924 con 4 vittorie. Di Ugo Agostoni, le memorie odierne più comuni, ricordano la Coppa a lui intitolata divenuta una classica nazionale, la vittoria nella Milano-Sanremo e la prematura scomparsa, ma nemmeno gli storici, si sono soffermati su quella che resterà la sua peculiarità più straordinaria: la sua incredibile precocità. Chi scrive se lo è sempre chiesto, ed ha lungamente pensato a un errore sulla data di nascita, poi rivelatasi, invece, corretta. Fatto sta, che il lissonese Ugo, pur sviluppatosi, più alto della media, con gambe lunghe e muscolose, a soli 15 anni, nel 1908, era già un dilettante che tardò poco a dimostrarsi di pregio, a dispetto dell’età. Nel 1910, a 17 anni, vinse la “Grande corsa del Secolo”, finì 3° nel Campionato Italiano e chiuse la breve parentesi fra i puri, vincendo la “Al mare, ai monti, ai laghi”, che impose il suo nome all’attenzione di tutti. Questa gara, svoltasi dal 31 luglio al 14 agosto, si sviluppava attraverso 8 frazioni per un insieme totale di 1960 chilometri. La corsa presentava alla partenza sia professionisti che dilettanti, in gara con classifiche separate, partendo ad intervalli. Alla fine delle otto tappe, Carlo Galetti risultò primo tra i professionisti con un netto vantaggio su Pavesi e Aymo, mentre Ugo Agostoni vinse la categoria dei puri su Fasoli e Bianco. In virtù di queste sue performance il giovanissimo corridore di Lissone, debuttò a soli 18 anni fra i professionisti nella squadra dell’Atala. Fu subito protagonista, andando a vincere la prima tappa della “XX Settembre”, che chiuse terzo, indi piazzandosi al secondo posto nel Campionato Italiano, terzo nella Coppa Savona, quarto nella Corsa delle Tre Capitali (dietro Henri Pelissier, Beni e Ganna) e settimo nel Giro di Romagna. Nella stagione successiva, fu ancora più brillante, perché vinse o fu protagonista in molte delle corse disputate. Finì 2° con la sua squadra nel Giro d’Italia e, nel Giro dell’Emilia, con una fuga solitaria di 50 chilometri, nata percorrendo una discesa da mostro, vinse con 13′ di vantaggio su Santhià e Girardengo.
Nel medesimo anno, corse pure il Tour de France, anche se l’abbandonò presto, giunse secondo nel Giro di Romagna e nella Coppa Val Senio e finì quinto nel Giro di Lombardia. Cercò poi di vincere alla grande la “Seicento Chilometri”. Evaso da un plotone di trenta unità, con la generosità che lo distingueva, fu a lungo in testa durante la notte, acclamato da Bologna a Rovigo, da Legnano a Verona, a Salò, ma con la luce dell’alba, venne la crisi che lo obbligò al ritiro dopo essere stato al comando per 300 chilometri. La corsa fu poi vinta da Luigi Ganna. Il 1913, fu un anno poco fortunato per Agostoni: il miglior piazzamento fu il settimo posto al Campionato Italiano, mentre su pista, stabilì il record nazionale dell’ora (poi non omologato per un’errata misurazione del velodromo). Si presentò in smaglianti condizioni di forma nel 1914 e, nella Milano-Sanremo, ottenne la più grande vittoria della sua carriera. Nell’anno si piazzò secondo nella Roma-Napoli-Roma, quarto nel Giro dell’Emilia e nono in quello di Lombardia. Dopo la parentesi della grande guerra continuò a gareggiare, ma aveva perso gran parte del suo smalto. Finì terzo nella “Sanremo” del 1918 e si segnalò particolarmente nella Milano-Modena, dove fu secondo nel 1919 dietro Girardengo, terzo nel ’21 dietro Belloni e Bassi e ancora secondo nel ’22 dietro a Bassi. In seguito ad un grave incidente motociclistico, nel 1924, si ritirò completamente dalla vita sportiva. Scomparve il 27 agosto 1941 all’Ospedale di Desio, durante un’operazione chirurgica. Per ricordare le gesta di Ugo Agostoni, gli sportivi di Lissone, dal 1946 organizzano la Coppa Agostoni, divenuta ben presto una classica del calendario nazionale. Così lo ricordava il grande Armando Cougnet: “Passista ottimo, scalatore discreto, benché penalizzato dal peso, discesista audace, ma soprattutto forte più che agile e di cuore buono e generoso”.
Ordine d’arrivo:
1° Ugo Agostoni Km 230 in 8h22’ media 27,49 kmh: 2° Pierino Albini a 12’; 3° Dario Beni a 22’; 4° Carlo Galetti; 5° Gino Brizzi; 6° Eberardo Pavesi a 26’; 7° Luigi Ganna a 41’; 8° Domenico Dilda a 26’38”; 9° Giovanni Rossignoli; 10° Arnoldo Galoppini a 1h; 11° Antonio Rotondi; 12° Umberto Zoffoli; 13° Carlo Oriani.
Napoli – Roma
La partenza da Capodichino alle 9 del mattino registrò il solito flusso di pubblico, favorito dall’orario di partenza, decisamente più abbordabile. La corsa si mosse ad andatura non forte per lo stato delle strade davvero impossibile per tratti di decine di migliaia di metri. La selezione divenne marcata negli ultimi ottanta chilometri, per la comprensibile fatica accumulata nei segmenti da “cross”, ed a farne le spese più di tutti furono Dilda, Zoffoli e Oriani, che si ritirarono a Frosinone. A una cinquantina di chilometri dall’arrivo, posto all’interno dello Stadio Nazionale (sito nell’area dell’odierno Stadio Flaminio), che la corsa di fatto inaugurò, l’allungo decisivo del duo della Bianchi, composto dal romano Dario Beni e dal milanese Carlo Galetti. I due scavarono ben presto una voragine sugli altri, fra i quali il giovane Agostoni, che stava pagando lo sforzo del giorno precedente. Si capì dunque assai presto che la corsa era tutta nelle mani dei due battistrada, che svolsero la volata decisiva, con Beni che ebbe la meglio sul compagno di una bicicletta. Inutile dire che il trionfo del corridore di casa suscitò l’entusiasmo più ampio del pubblico che gremiva l’impianto. A poco più di quaranta minuti, Ganna regolò Brizzi e completò il podio di tappa. Nella classifica assoluta a punti, Beni superò Galetti ed Agostoni.
Sul vincitore:
Dario Beni nacque a Roma il primo gennaio 1889 e sempre nella Capitale morì l’11 febbraio 1969. Passista veloce. Professionista dal 1907 al 1921 con 21 vittorie. Un romano che dell’aristocrazia dalla quale era nato, aveva ereditato il comportamento nel lato migliore, azzerando qualsiasi forma di strafottenza. Dario era gentile ed elegante, non aveva sofferto come più o meno tutti i suoi avversari, ed era arrivato più giovane di quasi tutti al Giro d’Italia del 1909. Sapeva di possedere la fortuna di poter consumare i propri furori fisici e mentali, interamente sulle corse, dove era un velocista d’evidenza assoluta. Meno bravo sul resto, ma quando era coi primi e vedeva il traguardo, aveva la stessa fame degli altri, pur non avendola mai provata nel reale della vita. Insomma, un gentiluomo che diveniva agonista per doveri di sport. A lui andò la prima tappa del Giro d’Italia e l’ultima dell’edizione d’esordio. Come dire: ingresso e presenza perenne nella storia del ciclismo italiano. E questo suo amore verso il tricolore, si cementò ulteriormente con la vittoria, tre mesi dopo il Giro, ai Campionati Italiani. Tricolore che vincerà anche nel 1911, oltre ad altri importanti successi come il Giro di Romagna del ’12 e tre volte la Coppa XX settembre (1911-’12-’14). Tre successi colti, il primo in volata su Galetti, dopo che i due avevano fatto il vuoto; il secondo con un arrivo solitario a Roma, dopo aver vinto allo sprint l’intermedio di Napoli su Santhià e Brizzi, poi staccati sulla via del ritorno. Infine il terzo, nel ’14, ancora per distacco, dopo aver vinto in volata anche sulla linea di Napoli. Dopo la fine del primo conflitto mondiale, riprese e a correre, ma lo smalto non era più quello e non vinse più nessuna corsa. A fine carriera divenne dirigente. Fu il commissario tecnico degli azzurri ai Giochi Olimpici di Berlino nel 1936, poi, per anni, presidente FCI del Lazio. Morì a Roma l’11 febbraio del 1969. Una figura notevole.
Ordine d’arrivo:
1° Dario Beni Km 230 in 9h03’ alla media di 25,414 kmh; 2° Carlo Galetti; 3° Luigi Ganna a 40’03”; 4° Gino Brizzi; 5° Eberardo Pavesi a 42’; 6° Giovanni Rissignoli; 7° Ugo Agostoni a 47’; 8° Pierino Albini a 1h35’; 9° Arnoldo Galoppini a 1h47’; 10° Cesare Rotondi a 2h16’.
Classifica finale a punti:
1° Dario Beni punti 4; 2° Carlo Galetti punti 6; 3° Ugo Agostoni punti 8; 4° Gino Brizzi punti 9; 5° Pierino Albini punti 10; 6° Luigi Ganna punti 10; 7° Eberardo Pavesi punti 11; 8° Giovanni Rossignoli punti 15; 9° Antonio Galoppini punti 19; 10° Cesare Rotondi punti 21.
GLI EPISODI PRECEDENTI
Prima parte: https://cyclingchronicles.it/storici/la-grande-storia-della-roma-napoli-roma-parte-1/
Seconda parte: https://cyclingchronicles.it/storici/la-grande-storia-della-roma-napoli-roma-part-2/