Un tempo, l’ultima decade di febbraio, era teatro di una corsa che ha saputo recitare peculiari pagine di ciclismo internazionale: il Giro di Sardegna. Quel tempo, per una decina d’anni, è coinciso col gioco più suggestivo e divertente della mia fanciullezza, fino a diventare fulcro-summa di passione e conoscenza ciclistica. Quel gioco, io lo chiamavo “le corse dei coperchini” perché mamma e dada, non volevano che parlassi il dialetto della mia terra, ma intorno a me, tutti, davvero tutti, lo indicavano come “e zug di quarcì”. Si trattava di porre sui tappetti delle bibite, dei dischetti di carta, su cui erano posti il cognome del ciclista ed il nome della sua squadra, su uno sfondo che riprendeva i colori sociali del sodalizio. Indi, armato di pollice e medio, spingevo a scatto quei tappetti sui più vari percorsi e ripercorrevo le prove del calendario ciclistico reale. Nel mio caso, alla spinta sui “Quarcì”, si aggiungevano commenti e disamine, elevando così il gioco, ad un protagonismo che mi conduceva ad essere tanto mini-giornalista, quanto mini direttore sportivo. Ed in quegli anni, mi sono formato ricercatore verace di curiosità, condotte e valori tecnici ed agonistici dei veri corridori. Devo così agli istmi di quell’insieme fra gioco e realtà, se poi in vita adulta, mi sono ritrovato a ritrarre migliaia e migliaia di ciclisti professionisti e indipendenti, e ho fatto del ciclismo lo sport forse più seguito fra i tanti che m’han visto dirigente o semplice narratore.
Di quegli anni, febbraio, prima dello start del Giro di Sardegna, era peculiare perché rappresentava l’ultimo lasso per la formazione delle squadre e ciò mi spingeva a ricercare con maggiore profondità sul panorama internazionale. Allora internet era lontano quasi mezzo secolo e per conoscere ed informarsi, restavano i quotidiani sportivi, soprattutto Gazzetta dello Sport e Stadio (ancora lontano, fortunatamente, dalla sua morte consistente nell’assorbimento da parte del Corriere dello Sport), nonché riviste e quei numeri unici che mio fratello Lorenzo, insegnante, riusciva ogni tanto ad allungarmi. In ogni caso, difficoltà o meno, riuscivo ad essere ogni anno competitivo, nel senso che la stragrande maggioranza del mondo ciclistico dei professionisti finiva sui miei tappetti. Nei primi anni un peso fondamentale sul gioco l’ebbe Lina, mia sorella, che era diventata maestra elementare il giorno della mia nascita. Fu lei a rendere la “costruzione” dei dischetti dei “Quarcì”, meno pesante in termini di tempo, perché m’aveva insegnato a scrivere in stampatello ancor prima delle elementari e con le sue mani d’oro, mi forniva ogni settimana di decine e decine di pezzi circolari ancora da iscrivere e colorare.
Qualche dato significativo. Iniziai a giocare nel 1960, a cinque anni e l’ho fatto ininterrottamente fino al 1969. L’anno più povero di tappetti fu il primo, ma erano sempre più di cento. Il più ricco, o meglio quello che ricordo come tale, perché gli appunti sulle consistenze rimasero in un cassetto della mia scrivania fino al 1997, fu il 1965, quando catalogai e portai sul gioco, 497 corridori professionisti.
Oltre la metà dei ritratti di ciclisti che ho scritto, circa 9000 (purtroppo molti perduti nelle avarie di tanti dischetti floppy), si riferiscono ai tempi di quei tappetti. Insomma, un piccolo patrimonio di ricordi e, perché no, di storia del pedale. Ho così pensato di proporre un libro che raccogliesse un sunto di ciò che m’han lasciato “Gli anni dei Quarcì”. Ovviamente il titolo non poteva che essere il citato. C’era un problema però: in dieci anni sono passati su quel caro gioco, oltre trecento squadre, circa quattromila corridori, nonché decine di tecnici o personaggi di nota. Dovevo fare delle scelte e così ho pensato ai sodalizi che han corso un solo anno, ed alla fine sono usciti tanti ciclisti sconosciuti ai più, diversi campioni, storie originali, ma pure personaggi di valore dimenticato e sponsor che hanno preferito il ciclismo ad altri filoni pubblicitari. Riporto qui sotto uno spezzone iniziale del libro, denso di inediti, legato al….tempo del Giro di Sardegna.
S.S. AUDAX CAGLIARI – ANNO 1960
Questo sodalizio al pari del decollo del grande ciclismo professionistico in Sardegna, ha un pro-genitore, un elemento di genesi preciso, un faro che, al netto di ogni possibile pregiudizio e solo come sintesi della legenda dei fatti, corrisponde al nome di Francesco Pretti. Costui, era stato uno sportivo di razza, un tipo che aveva fatto del movimento la linea quotidiana su cui aggiungere e coreografare il resto. Nato a Cagliari nel settembre del 1903, da una famiglia di origini emiliane, divenne presto marciatore di valore, campione italiano e primatista nazionale sui 50 chilometri, ed atleta olimpico nel 1932, a Los Angeles e nel 1948, a Londra, quando aveva 45 primavere sulle spalle. In entrambe le occasioni fu costretto al ritiro, ma dopo un parziale di gara molto buono, nell’intorno delle medaglie.
Gareggiava per un sodalizio romano, ed a Roma si era trasferito per la gran parte dell’anno per due motivi: la sua adesione al fascismo che lo portò a divenire uno dei segretari particolari di Mussolini e la maggior facilità nel praticare lo sport a livello assoluto. Un personaggio che non s’è macchiato in primis delle malefatte del regime e che ha vissuto la fase politica, con un senso di competizione in linea coi presupposti ed i filoni di un simil Gabriele D’Annunzio. Non a caso, all’indomani del conflitto e della caduta della dittatura, rimase fedele a principi patriottici e ad una visione particolare dello sport, molto legata agli aspetti nazionalistici. Nel 1948, ancora atleta olimpico, fu tra i fautori principali della nascita della Associazione Atleti Azzurri d’Italia, di cui fu poi il primo presidente. E, dieci anni dopo, concretizzò con la nascita del Giro di Sardegna, di cui fu il “deux ex machina” per circa tre lustri, la convinzione che il ciclismo fosse un peculiare fattore di propaganda, non solo per le aziende sponsorizzatrici, ma pure per il turismo e le specificità produttive di una terra. Per Pretti, il pedale, con la sua popolarità ed il suo essere itinerante, formava un messaggio di colori e d’attenzioni capaci di incidere aldilà dei confini nazionali. In altre parole, l’amata Sardegna col Giro ciclistico dell’isola, ed i campioni italiani e stranieri che vi partecipavano, poteva costruire un viatico economico innegabile e fondamentale. Ed a distanza di decenni, a Francesco Pretti va ascritto il merito di averci creduto e di aver centrato tanti obiettivi.

Il coperchino, “Quarcì”, raffigurante la maglia della S.S. Audax Cagliari
L’isola divenne infatti l’area di preparazione e lancio delle stagioni agonistiche dei giganti ciclistici dell’epoca, ovvero Jacques Anquetil e Rik Van Looy, nonché del meglio del ciclismo mondiale gravitante attorno ai citati. Un esempio tangibile ed oltremodo significativo: il valore dei cast delle prime 12 edizioni del Sardegna, rapportati all’oggi, superavano di gran lunga il Giro d’Italia e, di poco, pure il Tour de France. Per tutti i campioni presenti sull’isola almeno una volta da atleti, costei divenne in seguito un’occasione di turismo e di visita. Ma nel progetto di Francesco Pretti, fatto il Giro, mancava ancora qualcosa per vivacizzare e portare linfa alla sua amata terra: la valorizzazione e la cementazione del ciclismo sardo, fino a quegli anni lasciato marcatamente ai margini del movimento italiano. Ed a questo fine, allargò i confini della Società Sportiva Audax Cagliari, aggiungendo alla organizzazione del “Sardegna”, anche una squadra ciclistica impegnata in direzione del ciclismo di vertice, costituita per la stragrande maggioranza da corridori sardi. Nel 1959, il sodalizio si estese in direzione della categoria indipendenti e l’anno successivo fece l’ingresso ufficiale fra i professionisti. Un’esperienza nell’élite di un solo anno, ma lo scopo di lanciare nel ciclismo migliore i più forti corridori dell’isola, fu centrato appieno.
Ovviamente, l’intero progetto di Pretti trovò sostegni, ed aldilà delle risorse che l’intorno di famiglia dell’organizzatore mise sul campo, decisivo fu l’appoggio di un sardo grande personaggio della politica di quei tempi, poi Presidente della Repubblica, ovvero l’Onorevole Antonio Segni. Costui, più di ogni altro, capì quanto fossero importanti per la Sardegna gli intendimenti dell’olimpico Francesco, ed i due divennero pure amici. Fatto sta che nel decollo del Giro e del ciclismo dell’isola anche attraverso la squadra, la spinta di Segni ebbe un peso determinante.
Fra i ciclisti isolani che risposero alle offerte di Pretti, Giovanni Garau, grande talento rovinato dal carattere, ed Ignazio Aru, continuarono l’esperienza professionistica anche dopo il 1960, militando in diversi sodalizi pure di nome; mentre Natale Pau e Francesco Musa si fermarono all’anno professionistico della squadra. Anche l’esterno all’isola, il laziale Rolando Pazzini si fermò a fine esperienza Audax Cagliari, mentre il toscano Emilio Ciolli, grazie al sodalizio del marciatore olimpico, trovò modo di rilanciare una carriera che pareva al crepuscolo. Continuò da indipendente con l’Audax anche nel ’61, ma dall’anno seguente pur da gregario, poté aprire le pagine del suo segmento agonistico più tangibile a livello nazionale ed internazionale.
Francesco Pretti continuò ad operare per circa tre lustri come organizzatore principe del Giro di Sardegna, raccogliendo pienamente le già uniche prestazioni del più forte ciclista della storia: quell’Eddy Merckx che non bucava mai la partecipazione alla grande corsa sull’isola. Poi, il tempo spinse l’organizzatore a stabilirsi senza soste nella Città Eterna, dove l’inoltrata età della pensione non gli impedì di continuare a marciare. Lo face ogni mattina per più di un’ora, sullo scenario del Foro Italico, in mezzo a quella architettura littoria che, forse, gli ridava nel ricordo la lontana gioventù. E lo fece fino a quella mattina del 1988, ad 85 anni compiuti, quando fu colto da un fatale infarto, proprio mentre in quel luogo a lui caro stava marciando.
L’organico dell’Audax Cagliari: Ignazio Aru, Emilio Ciolli, Giovanni Garau, Francesco Musa, Natale Pau, Rolando Pazzini.
I Corridori dell’Audax e la loro carriera
IGNAZIO ARU
Nato a Pirri (CA) il 23 maggio 1937, deceduto a Quartu Sant’Elena (CA) il 5 ottobre 2020. Passista scalatore, alto m. 1,78 per 72 kg. Professionista dal 1959 al 1963, senza ottenere vittorie.
Un corridore assai più forte di quanto non dicano la breve carriera (fatta oltretutto di non tante partecipazioni), ed i pochi piazzamenti. A margine dei cosiddetti “perché”, ci stanno tanti aspetti, non ultimi, la sua residenza in Sardegna, che a quei tempi rappresentava una salita in più e quella sfortuna che lo avvolse nel momento in cui poteva far capire a tutto l’ambiente, nonché a se stesso, di essere ben diverso da una comparsa, o dal semplice numero portato in gruppo. I buoni comportamenti, soprattutto nelle corse più dure, lo portarono all’esordio fra i professionisti nel febbraio 1959, grazie all’iniziativa di Francesco Pretti che abbinò la sua Audax Cagliari, a corridori svizzeri in occasione della seconda edizione del Giro di Sardegna. Qui, Aru, fu protagonista nella tappa più dura della manifestazione, dove giunse 4°, superando in volata Luison Bobet e Rik Van Looy. Chiuse poi il Giro al 12° posto.
Ciò gli valse l’ingaggio della Tricofilina Coppi nel prosieguo di stagione. La squadra di Coppi però, col “Lombardia”, chiuse i battenti, ed Ignazio si trovò ad iniziare la stagione ’60, con le maglie della comunque peculiare formazione dell’Audax Cagliari. Partecipò così alla già prestigiosa gara d’esordio proprio sulle strade di casa, ovvero quel Giro di Sardegna che sapeva raccogliere gran parte del gotha ciclistico mondiale e dove s’era segnalato l’anno prima. Stavolta, Aru, fu un grandissimo protagonista e per tanti aspetti vincitore morale. Con una condotta di gara sempre di vertice, fu sesto nella tappa inaugurale, coi primi nella seconda e quinto alla terza, che si concludeva proprio a Cagliari. Nel capoluogo sardo conquistò la bella maglia bianca con fasce orizzontali rosso-blu di leader, ed il Giro proseguì lasciando in più di un’occasione presagire un suo successo. Ignazio infatti, seppe sempre rispondere con prontezza agli attacchi dei grandi avversari.
Poi, purtroppo, ad una manciata di chilometri dalla conclusione della frazione di Sassari, l’ultima di quel “Sardegna”, subì l’acuto peggiore, quello della sfortuna, materializzatosi con una foratura che non poté essere recuperata in tempi rapidi, a causa del ritardo col quale arrivò il soccorso dell’auto del cambio-ruota. Senza compagni di squadra ripartì con veemenza, ma il gruppo che era in piena bagarre finale, sì spezzo e ad approfittarne fu l’olandese Joe De Roo, che finì secondo dietro Defilippis nella tappa, ma conquistò la classifica finale. Aru chiuse 25° a Sassari, con un ritardo di 1’22” e concluse sesto nella generale. Il colpo psicologico fu grande, ed andò ad appesantire tanto le difficoltà logistiche della sua militanza nell’élite ciclistica.
Durante il resto del 1960, fu poi ingaggiato per qualche gara dalla Philco, ma non partecipò al Giro d’Italia. E fu così anche nel ’61 con la Vov, nel ’62, dove si divise fra Atala e Gazzola e nel ’63 con la Lygie. Il miglior piazzamento di quegli anni, lo colse nel ’61, quando finì 8° nella Berna-Ginevra. Insomma, una conclusione di carriera progressivamente amara, quando poteva essere cosparsa da una certa luminosità. Da uomo che nel lavoro e nei sacrifici aveva vissuto sin da subito, aprì assieme alla moglie, meno di un lustro dopo, un ristorante in Quartu Sant’Elena. E da ristoratore divenne apprez-zato ed amato, come fosse un campione.

EMILIO CIOLLI
Nato a Figline Valdarno (Firenze) il 27 gennaio 1933, deceduto a Firenze il 23 dicembre 2012. Passista scalatore, alto m. 1,80 per kg. 72. Professionista dal settembre 1954 al 1964, con una vittoria.
Ha saputo ritagliarsi una discreta carriera professionistica, dopo esser stato un buon dilettante. Non dotato di grande talento, sicuramente inferiore a quello del fratello maggiore Marcello che lo spinse al ciclismo, è riuscito ugualmente ad emergere per la sua volontà. “Ciollino” come veniva chiamato, era una sorta di gladiatore che non mollava mai. Fra i dilettanti colse bei traguardi, a cominciare dalla Milano Rapallo, vinta nel ’52, stagione nella quale trionfò pure nel GP Arezzo e nel Giro di Bolsena. Nel ’53 fece sua la Coppa Sinalunga e l’anno seguente tagliò per primo il traguardo della Coppa Città del Marmo. Fu proprio quest’ultimo successo, a spingere la Frejus a dargli, nel settembre ’54, una oppor-tunità professionistica. Giusto in tempo per correre il Giro di Lombardia che chiuse 31°.
Nel ’55 mostrò la sua abnegazione, ed anche se non colse successi, trovò comunque modo di distinguersi. Fu 3° nella Coppa Parabiago, 5° nel Giro dell’Appennino, 10° nella classifica finale del Giro di Puglia e Lucania, 16° nel Campionato Italiano, 17° nella Milano Sanremo. Partecipò al suo primo Giro d’Italia che concluse al 29° posto (7° nella tappa di San Pellegrino). Nel 1956 passò all’ambiziosa Ignis di patron Borghi, ed iniziò lì la sua fama di gregario affidabile e generoso. Il primo anno, però, fu amaro, a causa di continui malanni. Andò decisamente meglio nella stagione seguente, dove colse la sua unica vittoria di carriera, nel GP Saca a Pistoia e conseguì una bella serie di piazzamenti. Purtroppo, non partecipò al Giro, perché l’Ignis schierò la componente spagnola della squadra.
Nel 1958, continuò a cogliere piazzamenti e ritornò al Giro d’Italia dove però fu costretto al ritiro. A fine stagione l’Ignis modificò i suoi assetti e per “Ciollino” s’aprì una fase di precarietà, che perdurò per tre anni e dove il solo Francesco Pretti con la sua Audax Cagliari fu tangibile verso di lui. Nel 1959, comunque, il corridore toscano raccolse buoni piazzamenti. Il ritorno al sole avvenne però nel 1962, quando l’Avvocatt Eberardo Pavesi lo portò in Legnano, affinché fungesse da spalla di Imerio Massignan. Partecipò così al Tour de France che concluse 92°. Ormai gregario principe delle maglie verde oliva, nel ’63 e ’64 partecipò ad altri due Giri d’Italia, chiudendoli rispettivamente 63° e 96°. A fine ’64 appese la bici al chiodo e divenne un operatore dell’Enel, fino alla pensione. È morto l’antivigilia di Natale 2012, a quasi 80 anni, dopo una lunga malattia.
GIOVANNI GARAU
Nato a Santa Giusta (Oristano) il 12 gennaio 1935. Passista scalatore, alto m. 1,68 per 65 kg. Professionista dal 1961 al 1965, senza ottenere vittorie. Un corridore che aveva tante qualità atletiche, ma possedeva un carattere, caratteraccio come dicevano nella sua famiglia, che gli ha impedito di lasciare un solco nel ciclismo. Oddio, una sua traccia l’ha lasciata, ma poteva essere ben diversa, se solo avesse accettato certe logiche con maggior disponibilità al confronto, o la pazienza necessaria per poterle cambiare. Istintivo e sanguigno, anche generoso, ma estremamente manicheo su troppe condotte. Giovanni Garau aggrediva i tempi e le possibili maturazioni, il suo motto era: “deve essere così”.
Di famiglia estremamente umile, aveva due sorelle, ed un fratello minore, che si distinse socialmente, politicamente comunista, amico di Enrico Berlinguer e futuro sindaco di Santa Giusta. Ed a dispetto del fratello, Giovanni, ad un certo punto della sua carriera, quando poteva passare professionista, rifiutò 50000 lire al mese offerte da Gino Bartali per portarlo in San Pellegrino e ne accettò 30000 più spese, proposte da Franco Pretti, un tempo segretario particolare di Mussolini, al fine di portarlo alla sua Società Sportiva Audax di Cagliari.
Lo stesso suo avviamento al ciclismo fu denso di particolari e persino contraddizioni, dove di mezzo ci stava sovente quell’orgoglio testardo che lo poteva anche mettere in contrasto, ad esempio, con uno zio che, magari, lo voleva aiutare. In ogni caso, con colpi di grande talento, senza privarsi di nulla, dalle sigarette al vino, Garau arrivò ad essere il più forte corridore della Sardegna. Un giorno, fu chiamato a far da sparring in una gara di inseguimento, al campione del mondo dilettanti della specialità, Carlo Simonigh e Giovanni lo superò. Quindici giorni dopo la sfida fu ripetuta e Garau rivinse senza soverchi affanni. Fu inserito fra gli azzurrabili per le Olimpiadi di Roma, ma il corridore sardo non tardò ad abbandonare il ritiro azzurro, poiché, a suo giudizio, i prescelti per i Giochi sarebbero stati altri.
Tornato sull’Isola accettò la citata proposta di Pretti e passò professionista per la stagione 1960 con l’Audax Cagliari. Gli esordi nell’elite, pur partendo da una condizione di precarietà, per residenza ed entità del sodalizio, furono molto buoni. Garau fu 4° nel giro del Piemonte, 6° nel GP di Quarrata, 7° nel Trofeo Matteotti e nel GP Ignis di Altopascio, 11° nel Giro del Lazio e nel GP Prato, 17° nel Campionato Italiano. Nel 1961 passò alla Vov e si mise al servizio di un campione come Federico Martin Bahamontes. Ciononostante, trovò modo di finire 3° nel GP di Pistoia, 13° nel GP Prato e, soprattutto 16° alla Milano-Sanremo dopo una corsa di evidenza. Ma il dato più eclatante della sua stagione, venne dal fatto che fu il primo corridore sardo della storia a concludere il Giro d’Italia: 66°. Lo scioglimento a fine anno della Vov e le offerte dell’Ignis, lo spinsero, per il 1962, in direzione della squadra di patron Borghi. Con tanti capitani, Garau si mostrò ulteriormente un ottimo gregario, ma il suo caratteraccio ne appannò tanto le risultanze, comunque molto buone, che la coesistenza con la squadra. Giovanni fu 3° nella Coppa Bernocchi, 5° nel Giro di Campania e nel GP Prato, 10° nella Milano Mantova e nel Giro di Romagna e 15° nel Giro di Toscana.
A fine anno, l’Ignis modificò i suoi assetti, puntando per il 1963 sulla pista e per il corridore sardo si pose il problema dell’accasamento. Riuscì a trovare squadra a stagione iniziata, alla Springoil, dove trovò un capitano ormai spento: Gastone Nencini. Garau fu schierato al Giro d’Italia e si comportò bene, ma nella terzultima tappa, la Cavalcata dei Monti Pallidi, che si concludeva a Moena, per una foratura prima e la conseguente incomprensione avente protagonista il compagno Chiarini, si ritirò. A fine stagione cambiò ancora squadra, finendo nella neonata Salvarani al servizio di Adorni e Pambianco, due che sapevano bene quanto il corridore sardo fosse forte. Ma Garau, sempre più preda delle sue convinzioni e del suo carattere che un eufemismo potrebbe considerare “non facile”, si fermò alla comunque buona partecipazione alla Vuelta di Spagna. conclusa al 45° posto. Ed a fine stagione restò disoccupato. Riprovò nel 1965, sostenuto dalla Libertas Lazio, ma si fermò presto. Stavolta definitivamente.
NATALE PAU
Nato a Quartu Sant’Elena il primo gennaio 1936. Passista. Professionista dal 1959 al 1960, senza vittorie. La passione per il ciclismo fece presto a far capolino in lui, non altrettanto la possibilità di coltivarla, viste le difficoltà per praticarla, insistenti per la povertà generalizzata della Sardegna, lo stato delle strade in gran parte sterrate e la poca ragnatela organizzativa di questo sport. Pau però, forte della sua volontà e delle sue doti, poté trovarsi al meglio, quando Francesco Pretti, ex marciatore a due Olimpiadi, sardo di origine emiliana, ed ormai residente a Roma, ma con l’isola nel cuore, decise di intervenire con lo sport in quella che poi sarà per la Sardegna un’alba di nuove dimensioni e prospettive nazio-nali ed internazionali. L’opera di Pretti, con la nascita del Giro dell’Isola, subito di prestigio per cast e richiami e la creazione di un sodalizio ci-clistico capace di fungere da garanzia per i mi-gliori corridori sardi, fu per Natale Pau l’occasione per verificarsi e capire fin dove poteva ar-rivare nell’universo del pedale, ai suoi tempi an-cora primo sport italiano.
E Natale rispose così bene fra i dilettanti, da ritrovarsi scelto da Pretti, assieme all’amico Ignazio Aru, nella formazione dell’Audax Cagliari, che s’abbinò a corridori svizzeri per la seconda edizione del Giro di Sardegna, nel febbraio 1959. Qui Pau si comportò abbastanza bene, finendo quasi tutte le tappe fra i primi trenta e chiudendo il Giro al 27° posto. Due giorni dopo la chiusura del “Sardegna”, colse ancora un 27° posto nella classica “Sassari-Cagliari”. Successivamente corse anche altre gare con la Tricofilina Coppi, in un paio delle quali accanto al campionissimo. Nel 1960 prese parte al suo secondo Giro di Sardegna, ma si ritirò durante la tappa di Oristano. Chiuse poi 21° la Sassari Cagliari. Ancora qualche corsa, poi a fine ’60, la decisione di abbandonare l’attività.
ROLANDO PAZZINI
Nato a Brescia il 19 agosto 1935 e deceduto a Roma il 25 luglio 2009. Passista. Professionista nel 1960 senza vittorie. Emigrato a Roma, quartiere di Torpignattara, esordì nel ciclismo fra gli allievi del C.S. Busca. Nell’allora prima categoria giovanile, Pazzini fu un evidente di primaria fascia. Nel 1956, passò fra i dilettanti della Società Sportiva Lazio, mantenendo costantemente un ruolo di primo piano, grazie anche ad uno stile di pedalata assai apprezzato dall’osservatorio. L’anno successivo corse con la Benotto Preneste, sodalizio col quale rimase due stagioni, mantenendo buona la sua fama. Poi, nel 1959, col ritorno alla Lazio, giunse al suo anno d’oro: conquistò infatti il Titolo Regionale del Lazio e vinse in Toscana, a Santa Croce sull’Arno, il G.P. Industria e Commercio del Cuoio, gara di grande prestigio. Questi successi gli aprirono, nel 1960, le porte al professionismo in seno alla piccola Audax Cagliari. Non fu però l’esperienza che si augurava: pagava troppo le distanze delle corse prof. Nell’anno, solo un 50° posto al Giro del Piemonte. Deluso, lasciò il ciclismo agonistico a fine stagione.