Andy Schleck ha appena compiuto 37 anni e questo credo che lasci un po’ straniti tutti coloro che hanno ammirato le gesta del lussemburghese. Sono passati ben undici anni dagli ultimi lampi della carriera del vincitore della Liegi-Bastogne-Liegi 2009, eppure questi è più giovane, e in taluni casi addirittura molto più giovane, di atleti che tutt’oggi conquistano piazzamenti di rango nelle gare più prestigiose del calendario internazionale.
Il minore dei fratelli Schleck è stato un bolide agostano che ha reso la notte accecante per qualche secondo prima di tramontare all’orizzonte. Eppure in quel lustro in cui ha recitato nel teatro delle due ruote, Andy ha lasciato il segno come pochi altri nella storia recente di questo sport. Per la grandissima impresa che fece il 21 luglio 2011, ma anche per il suo essere un personaggio stupendamente divisivo. Con il lussemburghese non c’erano mezze misure, o lo amavi o lo odiavi.
Schleck pedalava leggiadro in salita, pur spingendo rapporti impossibili per tantissimi altri, contornato da quell’aura triste che non l’ha mai abbandonato. Il lussemburghese dava l’idea di essere un corridore, e un campione, non per scelta, ma per dovere. Andy Schleck era incredibilmente umano, in corsa e fuori. Semplice, ma tormentato. Un ragazzo come tanti, alle prese con qualche demone e con un talento difficile da maneggiare. E proprio per questo, in tantissimi, provavano empatia nei suoi confronti.
In un ciclismo in cui ancora aleggiava lo spettro di Lance Armstrong, più un cyborg affiliato a Black Ghost, l’organizzazione criminale che svolge il ruolo di antagonista nel leggendario manga Cyborg 009 di Shōtarō Ishinomori, che non un reale corridore, Andy rappresentava una boccata d’aria fresca. E dire che nel modus operandi i due non erano nemmeno troppo diversi, entrambi focalizzati solamente sul Tour de France. Ciò che li rendeva due persone agli antipodi era la loro essenza. Da un lato una belva cieca e sorda che sbranava tutto ciò che si trovava davanti, dall’altro un ragazzo estremamente a modo che sembrava quasi dover chiedere il permesso al fratello Frank prima di portare un attacco.
Andy Schleck domina la Liegi-Bastogne-Liegi 2009
Proprio il modo in cui Andy vedeva il ciclismo, un mondo ove tutto ciò che stava attorno al Tour de France era sfumato, e il rapporto con il fratello Frank, però, gli attiravano addosso le critiche più severe da parte di molti appassionati. Come dimenticare il Tour del 2010, l’infausta gara del surplace con Contador ad Ax3 Domaines, dello scatto sotto la flamme rouge a Morzine, mentre Riis gli urlava in cuffia di partire già ai -7 dal traguardo, e del salto di catena sul Port de Balès, figlio anch’esso di un attacco troppo tardivo.
Quella Grande Boucle aveva lasciato l’amaro in bocca a molti, primo tra tutti chi vi scrive. Andy aveva le gambe per battere Contador, le rimonte furiose che fece proprio ad Ax3 Domaines, per limitare il distacco da Menchov che si era mosso approfittando del marcamento tra il lussemburghese e il madrileno, e nell’ultimo chilometro del Balès furono impressionanti. Gli era mancato il coraggio di provarci fino in fondo, tuttavia.
Sembrava quasi che la vittoria dovesse cadere tra le braccia di Andy per grazia divina, poiché lui non fece assolutamente nulla per agguantarla. E poi ci fu la grande beffa, perché sui 52 chilometri della cronometro che da Bordeaux andava a Pauillac, Contador, che sulla carta avrebbe dovuto rifilargli un paio di minuti, gli guadagnò la miseria di 31″. A Schleck sarebbe bastato solamente un po’ di fegato in più per piegare la sua storica nemesi e vestire la maglia gialla a Parigi.
Bjarne Riis, nel suo libro, “Stages of Light and Dark”, scrive che Andy possedeva i mezzi per essere il nuovo Laurent Fignon, ma gli mancava la testa per diventare un fuoriclasse del calibro del parigino. E l’impressione comune era proprio che il minore degli Schleck si accontentasse del grande regalo che Madre Natura gli aveva dato, senza provare a fare quei miglioramenti tecnici ed empirici che gli avrebbero permesso di sfruttare al massimo il suo potenziale.
Eloquenti, da questo punto di vista, sono i progressi che non ha mai fatto a cronometro. Anzi, se possibile, nel corso degli anni, Andy è peggiorato. Nel 2007, a neanche 22 anni, Andy fu sesto nella cronometro conclusiva del Giro d’Italia, 43 chilometri da Bardolino a Verona. Il lussemburghese perse 1’28” dal vincitore Paolo Savoldelli, meno di un primo da un grande specialista quale David Zabriskie e concluse la frazione proprio davanti a un certo Vincenzo Nibali. Negli anni a venire non si vedrà più un Andy così performante nelle sfide alle lancette.
Il Tour de France del 2011, corso con la maglia della Leopard, la squadra nata attorno a lui, per larghi tratti, sembrava proprio speculare a quello precedente. A Luz Ardiden Andy si accontentò di marcare Evans e Basso, mentre il fratello Frank scattava nel finale per guadagnare qualcosina su tutti gli altri. A Plateau de Beille, invece, dopo non aver fatto nulla per tutta la salita, si produsse in una volata devastante, con cui guadagnò 2″ su tutti gli altri uomini di classifica, che portò i più a chiedersi perché non si fosse mosso prima.
Le cose, per Andy, peggiorarono particolarmente all’antivigilia delle tappe alpine. In una giornata da tregenda, mentre pioggia e vento tormentavano i corridori e Thor Hushovd disarcionava Boasson Hagen sul traguardo di Gap, al termine di un derby norvegese, il minore degli Schleck viveva il suo momento peggiore. Contador attaccò a spron battuto sul Col de Manse e il lussemburghese, che era inferiore alla nemesi negli sforzi brevi e violenti, cedette di schianto.
Il madrileno andò via con Cadel Evans e Samuel Sanchez, mentre Schleck rimase in un gruppetto col fratello, con Ivan Basso e con la maglia gialla Thomas Voeckler. Ad ogni modo, fu la discesa del Col de Manse, la stessa che otto anni prima frantumò i sogni di Joseba Beloki, a mettere veramente al tappeto il lussemburghese. Andy non andava più giù, terrorizzato dall’asfalto bagnato. Persino Ivan Basso, discesista oltremodo cauto, lo staccò. Quel dì l’alfiere della Leopard perse 1’10” da un Evans che nel finale si scatenò al punto che Sanchez e Contador non riuscirono a tenergli la ruota in discesa.
Il calvario di Andy Schleck a Gap
Non tutto, però, era perduto. In classifica generale Schleck, dopo quel dì da incubo, si trovava a 3’03” dal leader Voeckler, ma solamente a 1’18” dalla maglia gialla in pectore Cadel Evans. In tutto questo, però, doveva guardarsi le spalle da un Contador che lo tallonava a 39″. Il penultimo giorno di gara presentava una cronometro di 43 chilometri. Per questo motivo, sulle Alpi il lussemburghese era chiamato a staccare Contador e a distanziare pesantemente Evans.
Il terreno, di certo, non mancava. In particolar modo, il 21 luglio nel menù c’era una frazione di 200 chilometri con, nell’ordine, Agnello, Izoard e Galibier. Un vero bijou, certo, ma chi avrebbe mai immaginato che quell’Andy Schleck che tentennava sempre quando doveva scattare e che quando partiva, dopo venti metri, si girava a guardare il fratello, potesse provare a inventarsi qualcosa. Tra lo stupore generale, invece, quel dì Andy regalò un sogno ai suoi tifosi e anche chi, fino a quel momento, lo aveva sempre criticato.
Sull’Izoard gli uomini della Leopard fanno un buon passo, ma il gruppo maglia gialla è ancora parecchio numeroso quando, a 60 chilometri dall’arrivo, Schleck porta il suo attacco. E quando il lussemburghese parte, gli altri si guardano sbigottiti. Solo Rolland prova a seguirlo, senza successo. Quello di Andy è un autentico colpo di estro, uno scatto pregno di voglia di rivalsa. In un attimo, il lussemburghese plana via dal plotone e sparisce all’orizzonte.
Tra le altre cose, Andy non si è mai realmente capito come corridore. Il lussemburghese possedeva doti di endurance straordinarie. Spesso, però, correva in modo diametralmente opposto a quello ideale per esaltare le sue qualità. Così non fu, tuttavia, durante quel 21 luglio 2011. Schleck aveva nelle corde una cavalcata epica tra le vette più aspre delle Alpi e in un attimo ciò fu chiaro a tutti, corridori e spettatori. All’epoca, peraltro, i super team attuali non esistevano e ben presto gli altri uomini di classifica realizzarono che andare a riprendere Andy sarebbe stato praticamente impossibile.
Come il più classico dei poeti maledetti, Schleck affresca malinconia sulle rampe dell’Izoard e del Galibier. In quel momento, tutti gli spettatori pensano di essere di fronte alla resurrezione dell’Araba Fenice dalle sue ceneri. E, invece, quello è il volo di Icaro. Andy sta sfidando quel fato che non lo vuole in maglia gialla a Parigi unendo ingegno e follia. A 10 chilometri dalla fine, sembra fatta per il lussemburghese. Il suo vantaggio sul gruppo maglia gialla supera i 4′ e dietro si guardano.
Cadel Evans, legato ad Andy Schleck dalla nomea di eterno secondo, quantomeno al Tour de France, però, non ci sta. A 9000 metri dalla vetta del Galibier, si mette in testa e senza più chiedere un cambio inizia a tirare a testa bassa. Il forcing dell’australiano è devastante. Prima cede Samuel Sanchez, poi Alberto Contador, che vede sfumare definitivamente il sogno della doppietta Giro-Tour, quindi tocca a Damiano Cunego e, per finire, perdono le ruote del campione del Mondo di Mendrisio 2009 anche la maglia gialla Voeckler e il suo braccio destro Rolland.
Il lussemburghese, tuttavia, resiste splendidamente per gran parte della scalata. Rapidamente, la mancanza di ossigeno consuma anche i rivali e la rimonta di Cadel Evans non sembra sortire gli effetti sperati. Quando Andy passa sotto lo striscione di un chilometro all’arrivo, il suo vantaggio sul plotoncino di Evans è ancora di 3′. Negli ultimi 500 metri del Galibier, ove la strada si impenna, però, Schleck si pianta. Icaro è arrivato a un passo dal sole e le sue ali di cera si sciolgono.
Evans recupera 45″ al lussemburghese negli ultimi mille metri e chiude a 2’15”. In classifica è a 57″ da Schleck. Un distacco colmabile con la cronometro. Per Andy ci sarebbe ancora la tappa dell’Alpe d’Huez, dove succede di tutto, dall’attacco a 90 chilometri dalla meta di Contador al problema meccanico di Evans, passando per la crisi di Voeckler, ma, alla fine, non cambia nulla in classifica tra lui e l’australiano.
L’impresa indimenticabile di Andy Schleck
I due si ritrovano insieme ai piedi dell’Alpe d’Huez e sulla salita più iconica della Grande Boucle è Evans a scattare, mentre Andy si difende. Finisce in parità e ci si gioca tutto a cronometro. All’epoca, memori della brutta prova che fece Cadel tre anni prima a Saint Amand Montrond, quando non recuperò nemmeno 30″ a Carlos Sastre nella sfida per la maglia gialla, i più pensavano che la battaglia tra Andy e l’australiano sarebbe stata assai serrata.
In realtà, però, non ci sarà storia. Sulle strade di Grenoble, Evans ottiene il suo riscatto, arrivando ad appena 7″ dal battere addirittura Tony Martin. Un Andy Schleck stremato nel fisico e nella mente, invece, crolla. Il lussemburghese conclude la prova a 2’30” dall’australiano. La sconfitta va oltre quelle che erano le più plumbee aspettative. Andy non ha nemmeno opposto resistenza, già dopo appena dieci chilometri era chiaro che Cadel avrebbe vinto il braccio di ferro.
Il bolide Schleck aveva iniziato a immergersi nei meandri del cielo già in cima al Galibier. Quel giorno Andy aveva usato tutte le energie che aveva a disposizione e, forse, anche qualcosa in più. Il fatto che il dì seguente sia riuscito a fare una frazione altrettanto gagliarda, dà la dimensione del fondista straordinario che è stato il lussemburghese. Ma fuori dalla sua zona di comfort, l’alta montagna, salvarsi era impossibile.
La mancanza di stimoli e i gravi infortuni, in seguito, hanno rapidamente messo fine alla carriera del lussemburghese. Dopo Grenoble, solo qualche piccolissimo sussulto al Tour de France 2013, nell’unica occasione in cui è riuscito a concludere, dopo il 2011, quella gara che per lui significava ciclismo. Il ritiro, annunciato sul finire del 2014, arrivò quando Andy iniziava a essere già più un ricordo che non un idolo per tutti i suoi tifosi.
L’eredità di Schleck, però, resterà indelebile per chi, in quel pomeriggio di luglio, ha potuto ammirarne le gesta. Il lussemburghese, che sull’Izoard si riscoprì più sfrontato di Bellerofonte quando affrontò la chimera, ha saputo oscurare l’intero firmamento con il bagliore accecante prodotto dal suo talento divino. I sogni, prima o poi, sono destinati a finire, ma in taluni casi possiamo dirci assai fortunati per aver avuto modo di vivere certe esperienze oniriche.